Di Cristo, non del mondo | Il Messaggio dell’Arcivescovo per la Quaresima
DIOCESI DI TRIESTE
+ Giampaolo Crepaldi
Arcivescovo – Vescovo di Trieste
Messaggio per la Quaresima 2020
Di Cristo, non del mondo
Carissimi presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, fedeli laici della Chiesa di Trieste: “grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (1Cor 1,3)!
Quaresima: la strada della conversione
1. Con la celebrazione del Mercoledì delle Ceneri inizia il tempo liturgico della Quaresima, che la Chiesa predispone per prepararci spiritualmente a fare una memoria, degna e fruttuosa, dei grandi eventi pasquali – eventi di grazia e di salvezza – che videro come protagonista il Signore nostro Gesù che patì la croce, che morì da condannato, ma che il Padre celeste, con la potente azione dello Spirito Santo, risuscitò. Questa singolare vicenda, che vede mobilitati il cielo e la terra, non è ristretta solo a Gesù, ma riguarda tutti noi ed ha una portata che raggiunge tutti gli spazi e tutti i tempi dell’uomo. Infatti, con la risurrezione del Figlio, il Padre celeste non ha inteso togliere solo lui dall’orribile destino della morte, ma, attraverso di lui e in lui, liberare anche noi da quel destino. Ce lo conferma san Paolo in uno dei brani più significativi e illuminanti della sua Lettera ai Romani: “Che diremo dunque di queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi! Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (8, 31-39).
2. Collocato in questa prospettiva, il tempo della Quaresima è lì a sollecitarci a intraprendere la strada della conversione, imboccando quella di Gesù che sale a Gerusalemme, luogo del compimento del suo mistero di passione, morte e risurrezione. La vita cristiana è una strada da percorrere che ci conduce ad un incontro d’amore, quello con la persona stessa di Cristo. Questo richiamo alla conversione risulta particolarmente evidente il Mercoledì delle Ceneri, primo giorno della Quaresima, quando il sacerdote sparge un pizzico di cenere sul nostro capo o sulla fronte e pronuncia una di queste due formule: “Convertitevi e credete al Vangelo”, oppure, “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”. Mentre nella prima formula il richiamo alla conversione è esplicito, nella seconda è più nascosto. Essa rimanda, infatti, agli inizi della storia umana quando, dopo il peccato originale, Adamo fu rimproverato da Dio: “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai” (Gen 3,19). Parole di rimprovero per il peccato commesso, ma anche che incitano a non peccare più, condizione indispensabile per entrare in quella vita nuova che ci destina, non al nulla della polvere, ma, in Cristo, al tutto di una vita eterna ed immortale. Con una avvertenza: la strada della conversione non è una gradevole passeggiatina. Tutt’altro! È una strada impegnativa e talvolta dolorosa, perché ci chiede di abbandonare il peccato e tutto quello che ci tiene incatenati a noi stessi, per andare ad incontrare Gesù, disposti a conformare la nostra vita secondo le sue esigenti richieste.
3. Per il tempo della Quaresima, la Chiesa – che di queste cose se ne intende! – ci consiglia di porci sulla strada della conversione, mettendo nel nostro sacco da viaggio una buona mappa per non perderci. In primo luogo, la mappa ci sollecita il digiuno. Papa Francesco ci dice che esso “ci fa più attenti a Dio e ai fratelli”, ridestando “la volontà di obbedire a Dio che, solo, sazia la nostra fame”. In secondo luogo, la mappa ci guida ad essere generosi con l’elemosina. San Leone Magno scrisse: “A questi doverosi e santi digiuni, poi, nessuna opera si può associare più utilmente che l’elemosina, la quale sotto il nome unico di “misericordia” abbraccia molte opere buone”. Aggiunge Papa Francesco che l’elemosina “ci libera dall’avidità e ci aiuta a scoprire che l’altro è mio fratello”. In terzo luogo, la mappa ci invita alla preghiera. Sant’Agostino scrisse che il digiuno e l’elemosina sono “le due ali della preghiera” che le premettono di prendere più facilmente il suo e di giungere fino a Dio. Per Papa Francesco “dedicando più tempo alla preghiera, permettiamo al nostro cuore di scoprire le menzogne segrete con le quali inganniamo noi stessi”.
4. La Quaresima è una strada di conversione che ci fa abbandonare qualcosa per andare all’incontro con Qualcuno. Il qualcosa che abbandoniamo, la Sacra Scrittura lo chiama mondo; il Qualcuno verso il quale punta il nostro camminare è Cristo. È su questo dinamismo dell’abbandonare per incontrare che vi offro qualche spunto di riflessione con questo messaggio quaresimale, che ha come titolo Di Cristo, non del mondo. Si tratta di un tema importante, affrontato in lungo e in largo dalle Sacre Scritture, soprattutto negli scritti del Nuovo Testamento, impostato nei suoi profili più significativi da Cristo stesso in un’occasione specialissima, anche se drammatica: l’ultima cena con i suoi discepoli poco prima della sua solitaria preghiera al Getsemani, della sua convulsa cattura, della sua ingiusta condanna, della sua dolorosissima passione, della sua morte in croce. In quella memorabile cena si dilungò in un’accorata preghiera rivolta al Padre, preghiera che ha il tratto di un testamento rivelativo della sua anima e delle sue ultime e decisive volontà. Queste le parole che maggiormente ci interessano: Padre, “non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo” (Gv 17,15-18). Ma prima della preghiera al Padre, Gesù aveva detto ai suoi discepoli queste parole dirompenti: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia”; “Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto” (Gv 15,18-19; 16,1-4). Gesù ci invita a ricordare, forse perché anche a noi cristiani ci viene comodo dimenticare o far finta di nulla di fronte alla seguente sacrosanta verità: se si è di Cristo non si può essere del mondo. Il mondo lusinga e poi ammazza; solo Cristo salva.
La Sacra Scrittura su Cristo, il cristiano ed il mondo
5. Per affrontare il tema Di Cristo, non del mondo, è necessario rifarci alla Sacra Scrittura e partire dai suoi insegnamenti, i quali, non essendo un prodotto delle nostre piccole testoline ma della sapiente mente di Dio, sono certamente sinceri e sicuri. Quando si legge la Sacra Scrittura, sia nella sua parte antico-testamentaria sia in quella neo-testamentaria, ci si accorgerà facilmente che essa fa costante riferimento al mondo, concependolo in svariati modi. In una stringatissima sintesi si può dire questo: a) il “mondo” è visto come il cielo e la terra che Dio ha creati (cf. Gn cap.1), dove l’accento è posto sull’aspetto fisico, sull’ordine delle sue leggi, sulla sua bellezza…; b) il “mondo” è riferito alla realtà umana, agli uomini. In questa seconda concezione – caratteristica degli scritti di san Giovanni evangelista – il mondo ha due significati: il primo è negativo in quanto il mondo è identificato con il regno del male che si oppone e rifiuta Dio (cf. Gv 17,25), impermeabile al dono dello Spirito di verità (cf. Gv 14,17), in preda al “potere del maligno” (1Gv 5,19), che si è insediato come “principe di questo mondo” (Gv 12,13); il secondo è positivo e riguarda l’umanità, oggetto dell’amore salvifico di Dio. A questo mondo Dio Padre invia suo Figlio non per giudicarlo, ma per salvarlo. Ora, nelle brevi riflessioni che vengono proposte in questo Messaggio, quando si richiama il termine mondo, lo si fa riferendolo alla realtà umana, all’umanità.
a. Gesù e il mondo. Nel Vangelo di Giovanni troviamo un’affermazione di grande rilievo, sulla quale è necessario soffermarsi per cogliere il rapporto, paradossale e complesso, tra Gesù e il mondo. Questa l’affermazione: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unico” (3,16). In essa possiamo cogliere due aspetti, collegati strettamente uno all’altro: il primo ci illustra la vittoria di Gesù sul mondo governato da Satana, mentre il secondo mette in luce l’inaugurazione in lui del mondo rinnovato.
b. La vittoria di Gesù sul mondo. “Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto” (Gv 1,10): con questa breve frase, posta all’inizio del suo Vangelo, Giovanni riassume quella che è stata la vita terrena di Gesù. Gesù non è del mondo (cf. Gv 8,23; 17,14), e neppure il suo regno (cf. Gv 18,36); riceve la sua potenza da Dio (cf. Mt 28,10) e non dal principe di questo mondo (cf. Lc 4,5-8), perché il diavolo non ha alcun potere su di lui (cf. Gv 14,30). Di più, il mondo lo odia (cf. Gv 15,18): questo dato è tragico e sconvolgente, se si considera che lui è “la luce del mondo” (Gv 9,5), è colui “che dà la vita al mondo” (Gv 6,33), ed è venuto “per salvare il mondo” (Gv 12,47). Si tratta di un odio, crescente e pervasivo, che caratterizza il dramma evangelico fin dall’inizio e che avrà la sua compiuta espressione nella condanna a morte di Gesù (cf. 1Cor 2,7ss). Però, ad avere l’ultima parola non sarà l’odio contro Gesù, ma il suo amore per tutti. Con il suo amore, infatti, Gesù vince sul mondo malvagio (cf. Gv 16,33), ne giudica le aberrazioni e provoca la caduta del suo principe (cf. Gv 12,31). Con un atto supremo di amore – quello del suo sacrificio nella croce – Gesù accetta di fare la volontà del Padre (Gv 14,31), per poi risorgere, lasciare il mondo e ritornare al Padre (cf. Gv 16,28), dal quale riceve la gloria che gli spetta (cf. Gv 17,1.5). Là, nella gloria della comunione con il Padre, dirige la storia degli uomini: “Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno sopra la terra” (Ap 5,9-10).
c. Gesù ha fatto nuovo il mondo. Gesù, con il dono totale di sé “per la vita del mondo” (Gv 6,51), ha tolto “il peccato del mondo” (Gv 1,29) e realizzato il fine per cui era venuto sulla terra. Egli, nel quale tutte le cose erano state create (cf. Col 1,16), riscatta il mondo dalla sua schiavitù e lo lava con il suo sangue. Con la sua risurrezione viene stabilito capo della nuova creazione, poiché il Padre celeste pone tutto sotto i suoi piedi (cf. Ef 1,20ss), riconciliando tutti gli esseri e ricostituendo l’unità di un universo diviso: “È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli” (Col 1,19-20). Questa mirabile prospettiva di san Paolo può essere compresa se teniamo presente che la grazia della salvezza e della riconciliazione agisce in un universo che resta ancora sofferente. Infatti, la vittoria di Cristo sarà completa solo il giorno della sua manifestazione nella gloria, quando consegnerà tutte le cose al Padre suo (cf. 1Cor 15,25-28). Fino allora l’universo resta in attesa di un parto doloroso (cf. Rm 8,19 … ), quello dell’uomo nuovo nella sua piena statura (cf. Ef 4,13), quello di un mondo nuovo che succede definitivamente all’antico: “E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate»” (Ap 21,1-4).
6. I cristiani e il mondo. Nel rapporto con il mondo i cristiani si trovano nella stessa situazione, complessa e difficile, in cui si trovò Gesù nella sua vita terrena. Come Gesù non sono del mondo (cf. Gv 15,19; 17,16); come Gesù sono nel mondo (cf. Gv 17,11), mentre Gesù prega il Padre di non toglierli dal mondo, ma di custodirli dal maligno (cf. Gv 17,15). Come Gesù, la separazione nei confronti del mondo, non li esonera dall’impegno di operare per salvarlo e redimerlo (cf. 1Cor 5,10). Vediamo ora qualche nota caratterizzante questo rapporto tra i cristiani e il mondo.
a. I cristiani separati dal mondo. Dalla lettura delle Sante Scritture il primo dato che emerge è quello della separazione. I cristiani non devono farsi contaminare dal mondo (cf. Gc 1,27); non devono amare il mondo, né le cose del mondo (cf. 1Gv 2,15), perché “chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio” (Gc 4,4) e ha come conseguenza i peggiori abbandoni (cf. 2Tim 4,10). I cristiani non dovranno conformarsi a questo mondo (cf. Rm 12,2), rinunciando alle concupiscenze della carne, degli occhi e alla superbia della vita che ne definiscono lo spirito (cf. 1Gv 2,16). In una parola, il mondo sarà un crocifisso per i cristiani e loro per il mondo. Scrive san Paolo: “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14). Nei confronti del mondo i cristiani avranno un distacco profondo e se ne serviranno come se non se ne servissero (cf. 1Cor 7,29 ss). Tutto questo implica un uso dei beni di questo mondo conforme alle esigenze della carità fraterna (cf. 1Gv 3,17), perché tale è la santità richiesta ai cristiani.
b. I cristiani testimoni di Cristo dinanzi al mondo. Oltre al tema della separazione, la Sacra Scrittura delinea per i cristiani una missione positiva da svolgere nel mondo. Come Cristo, incarnatosi per rendere testimonianza alla verità (cf. Gv 18,37), anche i cristiani hanno la missione (cf. Gv 17,18) di continuare nel mondo quella che fu la testimonianza stessa di Cristo (cf. 1Gv 4,17). I cristiani, senza cedimenti a indebite spettacolarizzazioni alle quali Cristo si è sempre opposto, (cf. Gv 7,3 ss; 14,22; cf. Mt 4,5 ss), hanno il compito di annunciare al mondo Dio (cf. Gv 17,21.23). Come? Con la testimonianza della parola e della carità: annunciare Dio al mondo intero (cf. Mc 14,9; 16,15), come altrettanti luminari (cf. Fil 2, 15), amando tutti e avendo l’avvertenza però che non si può amare tutto. Impresa non facile, perché, come già contro Gesù (cf. Gv 15,18), il mondo perseguiterà quelli che sfuggono alla sua corruzione (cf. 2Pt 2,19 ss). Si tratta di una guerra durissima, ma dall’esito scontato: la vittoria sarà della fede (cf. 1Gv 5,4 ss; Eb 11,7; Gv 15,22). Una guerra durissima che i cristiani affronteranno con il conforto dello Spirito Santo, lo Spirito di verità, inviato in terra per confondere il mondo (cf. Gv 16,8-11). Il mondo non lo vede e non lo conosce (cf. Gv 14,17), ma lui è la garanzia suprema della vittoria (cf. 1Gv 4,4 ss).
c. I cristiani aspettano l’altro mondo. Ora, la vita dei cristiani è vissuta come dentro un campo dove convivono la zizzania ed il grano buono (cf. Mt 13,38 ss…). Ma tutta questa complicata situazione un giorno finirà. Anzi la Sacra Scrittura ci assicura che è già operante il giudizio nel segreto dei cuori (cf. Gv 3,18-21), giudizio che un giorno sarà reso pubblico quando Dio giudicherà il mondo (cf. Rm 3,6), avendo come parte attiva in questo supremo tribunale proprio i suoi fedeli (cf. 1Cor 6,2). Un ribaltone impressionante delle parti che prelude alla sparizione in modo definitivo del mondo presente e all’avvio di un’umanità rigenerata e gioiosa in un universo rimesso completamente a nuovo (cf. Ap 21).
Il contributo de La Lettera a Diogneto
7. I luminosi insegnamenti biblici sul rapporto tra Cristo e il mondo – esemplare per modellare quello tra i cristiani e il mondo – sono alla base, fin dall’inizio della storia cristiana, delle riflessioni di molti pensatori desiderosi di approfondire il senso dell’esistenza cristiana in contesti religiosi, sociali e politici prevalentemente ostili, che costituivano una sfida non indifferente. Si colloca dentro questo scenario il formidabile contributo offerto alla Chiesa di allora – e di sempre – da quelli che giustamente vengono chiamati i Padri della Chiesa perché, con i loro scritti e con la santità della vita, generarono e continuano a generare il cristianesimo, offrendo i contorni appropriati alla testimonianza dei cristiani nel mondo. Tra questi scritti – anche se resta ignoto il nome del suo autore – troviamo la Lettera a Diogneto[1], uno dei più antichi e suggestivi scritti dell’antichità cristiana. La Lettera, diretta a un tal Diogneto, si propone di esporre il vero culto a Dio, quello dei cristiani, che non è un culto esteriore, ma che trova la sua originalità nel mistero divino. I cristiani, infatti, collocati tra esigenze di incarnazione e di trascendenza, vivono le realtà terrestri vivificandole dall’interno e allo stesso tempo trascendendole. I cristiani sono nel mondo come l’anima nel corpo. Infatti, la parte più notevole della lettera è quella dove l’ignoto autore illustra il parallelismo fra la funzione dell’anima nel corpo e quella dei cristiani nel mondo.
8. Soffermiamoci ora su alcuni insegnamenti della Lettera a Diogneto riguardanti la presenza dei cristiani nel mondo.
a. Il primo tratto: i cristiani vivono nel mondo, senza particolari specificità. Nella Lettera a Diogneto, infatti, si legge che i cristiani “non si differenziano dal resto degli uomini né per territorio, né per lingua, né per consuetudini di vita. Infatti non abitano città particolari, né usano di un qualche strano linguaggio, né conducono uno speciale genere di vita. Abitano in città sia greche che barbare, come capita, e pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto della vita le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa”. I cristiani vivono nella terra come gli altri uomini e senza prerogative particolari, tranne quella di testimoniare con la loro vita ciò in cui credono, per essere lievito e sale del mondo.
b. Il secondo tratto: i cristiani sono stranieri in una terra straniera. Troviamo scritto nella Lettera che i cristiani “abitano ciascuno la loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutte le attività di buoni cittadini e accettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni patria è per essi terra straniera. Come tutti gli altri si sposano e hanno figli, ma non espongono i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il talamo. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma, con il loro modo di vivere, sono superiori alle leggi”. I cristiani, da un lato fanno parte del mondo, dall’altro hanno consapevolezza che la loro vita non si esaurisce in questo mondo. Hanno una doppia cittadinanza, terrena e celeste, che li impegna in un paradossale equilibrio da mantenere costante.
c. Il terzo tratto: i cristiani, pur perseguitati, sono coloro che sorreggono il mondo. Leggiamo questo lungo passo della Lettera: “In una parola i cristiani sono nel mondo quello che è l’anima nel corpo. L’anima si trova in tutte le membra del corpo e anche i cristiani sono sparsi nelle città del mondo. L’anima abita nel corpo, ma non proviene dal corpo. Anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo. L’anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile, anche i cristiani si vedono abitare nel mondo, ma il loro vero culto a Dio rimane invisibile. La carne, pur non avendo ricevuto ingiustizia alcuna, si accanisce con odio e muove guerra all’anima, perché questa le impedisce di godere dei piaceri sensuali; così anche il mondo odia i cristiani pur non avendo ricevuto ingiuria alcuna, solo perché questi si oppongono al male… L’anima è rinchiusa nel corpo, ma essa a sua volta sorregge il corpo. Anche i cristiani sono trattenuti nel mondo come in una prigione, ma sono essi che sorreggono il mondo… L’anima, maltrattata nei cibi e nelle bevande, diventa migliore. Così anche i cristiani, esposti ai supplizi, crescono di numero ogni giorno. Dio li ha messi in un posto così nobile, che non è loro lecito abbandonare”. La persecuzione, individuale o collettiva, è stata la sorte della Chiesa fin dal principio, perché i cristiani non sono di questo mondo. Eppure i cristiani sono coloro che sorreggono il mondo. Come? Con la loro vita santa. La profonda e distruttiva ferita del mondo è la separazione da Dio, mentre la santità è la comunione con Dio. La santità guarisce la ferita del mondo: è questo ciò che i cristiani di tutti i tempi e di tutti i luoghi sono chiamati a vivere e a testimoniare.
Alcune indicazioni per la santa Quaresima
9. Se vogliamo essere di Cristo e non del mondo, la prima indicazione che offro è quella di riscoprire la fede. “Non conformatevi a questo mondo, ma trasformatevi rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12, 2). Quello che ci viene chiesto in questo brano della Lettera paolina ai Romani è di trasformarci, rinnovando il nostro modo di pensare. Come? Riscoprendo la fede. Tra tutte le forme di mondanizzaione che pesano sulla nostra anima, la peggiore è la crisi di fede. Subito all’inizio della sua missione pubblica, Gesù si rivolge ai suoi interlocutori con queste parole: “Convertitevi e credete”, cioè smettete di pensare secondo gli uomini e cominciate a pensare secondo Dio (cf Mt 16,23). San Tommaso d’Aquino scrisse che “la prima conversione si attua credendo”: prima conversio fit per fidem. Inoltre, la fede è il terreno di scontro più tosto tra i cristiani e il mondo: “Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1Gv 5, 4). Nella Lettera agli Efesini si legge: “Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli” (Ef 2,1-2). Lo spirito del mondo, diretto antagonista dello Spirito di Dio che è spirito di carità (1Cor 2,12), caratterizza la sua azione a partire da questo principio: l’egoismo. Noi cristiani, guidati dalla Spirito divino dell’amore, dobbiamo andare là dove ci sono i poveri, gli ultimi, i sofferenti, mescolandoci con il mondo del dolore, della sventura e dell’emarginazione, andare cioè là dove il mondo, con il suo egoismo, non vuole andare. Dobbiamo anche pregare che qualcuno ci gridi: “Svegliati!”. In Quaresima la sveglia ce la può dare la Parola di Dio che la liturgia della Chiesa ci fa ascoltare: “Svegliati tu che dormi” (Ef 5,14); “È tempo di svegliarvi dal sonno!” (Rm 13,11).
10. Se vogliamo essere di Cristo e non del mondo la seconda indicazione che vi offro è l’invito a percorrere la strada della santità, facendoci guidare dai Santi, le cui biografie dobbiamo riprendere in mano. Leggere, durante la Quaresima, la vita di un santo fa bene all’anima e alla nostra vita spirituale. Ve ne suggerisco qualcuna. In un mondo come il nostro dimentico di Dio e ostile a Dio, vi consiglio la lettura della biografia del beato Pier Giorgio Frassati (Torino, 6 aprile 1901 – Torino, 4 luglio 1925). Nato in una famiglia lontana da Dio e vissuto in un ambiente di indifferentismo religioso, il nostro Beato fu un giovane pieno di fede e di carità. “Sei un bigotto?”, gli chiese un giorno qualcuno in università – così allora si ingiuriavano i credenti, sia dal versante massonico-liberale, che da quello fascista, che da quello social-comunista –. “No, rispose Pier Giorgio restituendo il colpo con bontà, ma con altrettanta fermezza, “No, io sono ‘rimasto’ cristiano!”. In un mondo che, con l’aborto e l’eutanasia, ha reso la soppressione della vita un diritto da rivendicare, vi consiglio di leggere la biografia della pediatra santa Gianna Beretta Molla (Magenta, 4 ottobre 1922 – Ponte Nuovo, 28 aprile 1962). Alla quarta maternità, resa difficile dalla malattia, decisa di donare la sua vita per salvare quella della sua creatura. “Mi disse esplicitamente” – ricorda il marito Pietro – “con tono fermo e al tempo stesso sereno, con uno sguardo profondo che non dimenticherò mai: Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete – e lo esigo – il bimbo. Salvate lui”. In un mondo iper-erotizzato e licenzioso, vi consiglio di leggere la biografia di santa Maria Goretti (Corinaldo (Ancona), 16 ottobre 1890 – Nettuno, Roma, 6 luglio 1902), che fu vittima di ripetute proposte indecenti e peccaminose da parte di Alessandro Serenelli. Questa la testimonianza resa da Alessandro: “Ella intuì che io volevo ripetere l’attentato delle due volte precedenti e mi diceva: “No, no, Dio non vuole, se fai questo vai all’inferno”. Io allora vedendo che non voleva assolutamente accondiscendere alle mie brutali voglie, andai su tutte le furie e, preso il punteruolo, cominciai a colpirla… In quel momento io capivo bene che volevo compiere un’azione contro la legge di Dio e che volevo indurre Maria al mio peccato e appunto l’uccidevo perché si opponeva”. La nostra Santa terminò la sua giovane vita, pronunciando con un filo di voce le seguenti parole: “Sì per amore di Gesù gli perdono, e voglio che venga con me in Paradiso”. In un mondo egoistico, dove si cerca sempre e solo il proprio interesse, vi propongo di leggere la biografia di san Giuseppe Moscati (Benevento, 25 luglio 1880 – Napoli, 12 aprile 1927), medico, ricercatore, docente universitario, che seppe coniugare la fede e la scienza. Come diagnostico era bravissimo. In un tempo in cui gli strumenti di analisi e di ricerca erano quasi inesistenti, l’individuazione della malattia era affidata alla preparazione e all’intuizione del medico. E in questo la capacità di diagnosticare di Moscati sorprendeva gli stessi colleghi che vedevano nelle sue diagnosi qualcosa di miracoloso. Lui con molta umiltà rispondeva che aveva una fonte segreta cui attingeva a piene mani ed era l’eucaristia alla quale si accostava ogni giorno. Dio è l’artefice della vita, era solito dire, noi siamo suoi collaboratori, ma il più lo fa lui. In un mondo – anche quello delle nostre terre – ferito da spaventose inimicizie tra i popoli e soprafatto da disumane ideologie vi consiglio di leggere la biografia di tre beati delle nostre parti: Lojze Grozde, sloveno, don Miroslav Bulesic, croato, don Francesco Bonifacio, italiano. Con la loro testimonianza di fede in Gesù Cristo e il loro martirio essi bonificarono gli orrori commessi in queste terre. Con la loro testimonianza di fede e il loro martirio essi sono lì a indicarci la strada umana e cristiana della verità, della giustizia, dell’amore e della libertà come l’unica degna di essere percorsa dall’uomo e capace di far camminare gli uomini uniti nel segno della riconciliazione e della fraternità.
11. Se vogliamo essere di Cristo e non del mondo la terza indicazione che vi offro è quella di coltivare qualche salutare forma di ascesi penitenziale, una specie di digiuno dal mondo. Un inno quaresimale ci esorta: Utamur ergo parcius verbis, cibis et potibus, somno, iocis et arctius perstemus in custodia (Usiamo parcamente di parole, cibi e bevande, del sonno e dei divertimenti. Siamo più vigili nel custodire i sensi). Alle parole, cibi, bevande e sonno, vi suggerisco di usare con una qualche sobrietà le immagini. San Giovanni stesso ci mette in guardia dalla “concupiscenza degli occhi” (1Gv 2,16). Viviamo dentro un diluvio di immagini, moltissime delle quali proposte con intenti impuri e violenti. Cosa fare di fronte a questo assalto? Vi offro un piccolo, ma prezioso suggerimento: imparate a guardare di più il Crocifisso e andate di più a fare visita al Santissimo. Il rimedio deve passare per dove è passato il veleno, cioè dagli occhi. Anche questa ascesi oculare ci aiuta a prepararci bene alla Santa Pasqua. Nelle sue omelie sulla Pasqua, sant’Agostino la descriveva come un “passare da questo mondo al Padre” (Gv 13,1), cioè un passare da questo mondo che passa al Padre che non passa, al Padreterno e alla vita eterna!
Conclusione
12. “Dio misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna: guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e, poiché ci opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia”: questa bellissima preghiera, che recitiamo la terza domenica di Quaresima, ci invita a confidare fiduciosi nella misericordia di Dio. Fu così anche per la Madonna che, nel canto del suo Magnificat, proclama di essere tutta di Dio e, nello stesso tempo, di guardare al mondo con il cuore misericordioso di Dio: “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,51-53). Come Maria anche noi dobbiamo spaziare su tutto l’orizzonte del mondo che ha Dio come inizio e come fine, che ha Cristo come centro, che ha il Regno come meta e traguardo. Se vogliamo essere di Cristo e non del mondo dobbiamo associarci al canto della Vergine Maria dove Dio viene magnificato perché ha rovesciato i potenti dai troni, ha disperso i superbi con tutte le loro pretese, ha rimandato i ricchi a mani vuote, soprattutto perché ha rivelato la sua misericordia e il suo amore verso i poveri, gli affamati e gli umili che gridano a lui con cuore fiducioso. Con Maria saremo di Cristo e non del mondo.
[1] Il testo, sconosciuto nell’antichità, venne trovato in una pescheria di Costantinopoli, tra il materiale d’imballaggio, nel 1436. L’originale verrà trasferito a Strasburgo dove brucerà nel 1870. Fortunatamente ne erano state effettuate due recensioni, una da Cunitz-Otto nel 1842 (cui seguì la seconda edizione nel 1849 di Otto e la terza nel 1879) e una dal Reuss nel 1861.