DIOCESI DI TRIESTE
60° anniversario di ordinazioni di don Fortunato Giursi, don Mario Vatta e don Alessandro Bulic
✠ Enrico Trevisi
Parrocchia dei Ss. Ermacora e Fortunato, 29 giugno 2023
Cari fratelli e sorelle,
Amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre
1. Con gioia celebriamo 60 anni di ordinazione di don Alessandro Bulic, a cui va il nostro affettuoso ricordo: non può essere qui perché gravemente malato; e poi i 60 anni di ordinazione di don Fortunato Giursi e don Mario Vatta. Una preghiera di suffragio per i loro compagni già nella pienezza dell’amore di Dio.
Celebriamo le meraviglie che Dio ha fatto in loro e con loro. Come Maria osiamo cantare: “L’anima mia magnifica il Signore”. Dentro le nostre umili vite Dio dispiega la sua potenza: quante messe celebrate, quante persone riconciliate con Dio e i fratelli, quante volte la Parola di Dio è stata spezzata, spiegata, proclamata, con le parole e con la vita. Quante persone accolte, amate, consolate. L’eucarestia, i sacramenti ci portano alla vita, ci chiedono di essere tra i fratelli come segno vivo di Cristo.
Certo ci sono anche le nostre fragilità. Le nostre debolezze. Come preti siamo convinti che il Signore ci ha scelti non perché migliori, ma perché attraverso la nostra povera vita risuonasse il bagliore della sua gloria, l’infinito della sua misericordia, il mirabile disegno di salvezza per questa nostra umanità piagata. Noi poveri e inadempienti strumenti… eppure giorno dopo giorno… Siamo arrivati a questo anniversario: 60 anni al servizio del Signore e della Chiesa.
Proviamo a lasciarci illuminare dalla Parola di Dio. Scelgo tre semplici particolari.
2. Gli Atti degli Apostoli (12,1-11) ci parlano di una chiesa delle origini che è perseguitata. Giacomo, fratello di Giovanni è ucciso. Pietro è messo in carcere. Ma dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera. Questo è il primo messaggio: siamo chiesa perché partecipiamo in comunione dello stesso mistero pasquale: abbiamo un grande messaggio di amore e di salvezza che il mondo non capisce, che tanti equivocano. La risposta è: unirsi in preghiera. Restare in comunione. Quanta amarezza invece quando semplicemente discutiamo, ci dividiamo, ci opponiamo pensando di avere le strategie migliori. In questo brano abbiamo visto che Pietro è prodigiosamente liberato. È rimesso nella missione. Non sarà sempre così. Arriverà anche per lui l’ora del martirio. Ma rimane che la vita della chiesa non può ridursi a sterile polemica e dibattimento, per cui sempre c’è qualcuno che ha bisogno di criticare, accusare, condannare, come se avesse la verità in tasca, come se avesse l’esclusiva dello Spirito Santo. Uniamoci in preghiera per cogliere quello che lo Spirito opera. E ci accorgeremo che rimangono sempre spazi liberati perché di nuovo possiamo testimoniare l’amore di Dio, il disegno mirabile di salvezza di cui ci fa complici.
Questo è il prete: apostolo del Vangelo, della buona notizia, anche quando è in prigione. Perché anche il dono della sua vita risulti un dare gloria a Dio che abbatte i superbi e innalza gli umili.
3. Nella Seconda lettera a Timoteo (cap. 4) troviamo un Paolo che ci lascia come un testamento: “sto per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita”. E poi in modo lapidario: “ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”.
Grazie a voi sapienti nostri presbiteri per il cammino che ci porta con voi a ripetere queste parole: “ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”.
La vostra corsa non è finita, perché ancora siete qui a celebrare con noi. Ma certamente avete combattuto la buona battaglia e qui ci testimoniate che avete conservato la fede. Vi ringraziamo.
Quale battaglia? “Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero”.
Questa è la battaglia: annunciare il Vangelo perché sia compreso, e ogni prete lo fa a suo modo, come riesce ad elaborare. Ciascuno con alcune priorità che ci differenziano gli uni dagli altri. Schematizzando:
Don Alessandro nel mondo della scuola; don Fortunato nella parrocchia; don Mario tra i poveri affaticati nelle varie stagioni della vita e della società (a volte più brava a creare nuove povertà che a curare i vulnerabili). Usciti dal medesimo seminario, ma poi chiamati a rispondere alla propria vocazione di annunciare il Vangelo in modi così diversi. Questa è la Chiesa bella di ieri e di oggi. Dove le vie di evangelizzazione occorre continuamente inventarle, inverarle nella vita unica di ciascuno, prete o laico che sia.
Magari talvolta non sempre avere ricevuto la gratitudine e la stima della comunità cristiana, c’è sempre pronto qualcuno a commentare e polemizzare. Ora però è bello che siamo qui per ringraziarvi per la battaglia della fede che avete combattuto: una testimonianza di amore e misericordia che ha seminato nei cuori di tanta gente, di tanti ragazzi, di tanti poveri, di tante persone che anche qui ora testimoniano la propria gratitudine.
4. Un ultimo pensiero: Gesù domanda: “Ma voi chi dite che io sia?”. Un prete con la sua vita cerca di portare tutti a rispondere a questa domanda. E sentiamoci ancora interpellati. Di fronte a questo Gesù che ti ama, che per te si dona fino a morire, che ti dice: “guarda che tu vali il mio sangue” noi che risposta diamo?
Vorrei dirvi: lasciatevi amare, lasciatevi riconciliare con Dio e con i fratelli, lasciatevi stupire da questo Dio che in voi vede una promessa di bene, tanto che dona suo Figlio.
Siete riconoscente per il ministero di umanità e di servizio sacerdotale che ci hanno dato questi preti? Se è sì, rubategli la ricetta, il segreto profondo, che sta nell’accogliere l’amore di Dio nella propria fragile umanità. E questo amore ci accenderà, ci infiammerà.