DIOCESI DI TRIESTE
XXXII Giornata Mondiale del Malato
✠ Enrico Trevisi
chiesa di Nostra Signora di Lourdes, 11 febbraio 2024
Cari fratelli e sorelle,
Amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre
Guardiamo a Maria e ci sentiamo protetti, compresi, amati. Gesù ci ha rivelato che Dio è misericordia infinita, ma spesso la vita sembra smentire questa rivelazione e dobbiamo allora tornare ad ascoltare quello che la Scrittura ci racconta, quello che scorgiamo nella storia della salvezza. Ed ecco che di nuovo cogliamo il mistero di amore: Dio non è lontano, non è distratto, non è un nemico… Con il suo angelo entra in una casa di Nazaret, parla ad una giovane ragazza, umile ma coraggiosa, capace di comprendere che Dio realizza le sue promesse di salvezza. E anche i nostri limiti non sono un impedimento alla sua presenza rigenerante, feconda, vitale.
Maria è scelta e risponde fiduciosa: Eccomi, “si compia in me secondo la tua parola”. Ricolmata di grazia non si blocca a constatare la sua piccolezza e i suoi limiti, ma pone la sua fiducia in Dio, nella potenza dello Spirito, secondo una Parola che illumina e cambia il senso e dunque la realtà della vita: diventa la madre del Signore, del Redentore, del Dio con noi.
La malattia è il segno del limite inscritto nella vita umana. È segno della precarietà che ci connota e che fa parte della nostra identità. Con la medicina cerchiamo di sconfiggere le malattie. Talvolta, però, ci concentriamo talmente su di esse e sulle strutture medico-sanitarie che ci dimentichiamo della sofferenza del malato, della sua vita concreta con le sue domande di senso, con la sua fatica quotidiana nell’affrontare i sacrifici, le rinunce, le solitudini, il dover fermarsi mentre tutti corrono, il suo lancinante pensiero che lui malato sta imponendo sacrifici agli altri, i suoi cari… Quante domande terribili, quante emozioni contraddittorie. Qualcuno arriva a domandarsi: perché vivere ancora? meglio morire?
Maria a Nazaret non la pensiamo malata ma la vediamo dentro la consapevolezza dei limiti, della precarietà, del tempo che improvvisamente ha cambiato rotta: cosa mi sta succedendo? Dove stiamo andando? Cosa mi accadrà? Cosa sto aspettando?
Ecco perché la pensiamo così vicina agli ammalati. La sappiamo provata dagli stessi pensieri che turbano: lo sconvolgimento improvviso della vita, il ribaltamento dei piani previsti, la vertigine di fronte a quello che potrebbe succedere, i sentimenti che si alternano: il timore, gli interrogativi, la fiducia… In qualche modo la vediamo anche sola di fronte al mistero che la avvolge: sola perché ci sono momenti personalissimi in cui siamo chiamati a dare la nostra personale adesione al Dio che viene e che ci parla, la nostra indelegabile responsabilità, che chiamiamo fede! Eppure non è del tutto sola, non è abbandonata, perché la contempliamo accanto all’angelo, la sappiamo capita e amata da Giuseppe, rafforzata dalla presenza di Gesù, il Figlio di Dio che ridona senso ai suoi giorni e ai suoi timori. La vediamo accanto alla cugina Elisabetta.
E gli ammalati possono guardare a Maria e non sentirsi del tutto soli. Come Lei possono sentire la vicinanza di Dio: la forza dello Spirito Santo, il conforto dello Spirito Santo, la fecondità e generatività dello Spirito Santo.
Abbiamo fatto progressi enormi nella medicina, realizzato ospedali all’avanguardia, la scienza consente oggi di guarire tantissime malattie… eppure sappiamo che i malati ancora soffrono e talvolta vivono la disperazione, cioè sono soli e senza speranza riguardo a se stessi e al proprio futuro.
Papa Francesco nel messaggio per questa giornata mondiale del malato denuncia la solitudine e il senso di abbandono che tante volte travolgono gli ammalati e gli anziani. Insiste sulla parola di Dio che troviamo fin dall’inizio della Genesi: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18). Occorre curare il malato curando le relazioni: le prestazioni sanitarie vanno saggiamente accompagnate da un’alleanza terapeutica tra medico, paziente e familiari… come cifra di una comunità che non lascia soli ma che sa rallentare e stare accanto, ascoltare, parlare, accompagnare. Il Papa afferma:
“la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso. È possibile? Si, è possibile e noi tutti siamo chiamati a impegnarci perché ciò accada”.
Guardiamo a Maria e ci accorgiamo che siamo chiamati ad essere Chiesa che accompagna, Chiesa che sta vicino agli ammalti, che vive come in un lungo ed esaltante pellegrinaggio, tutti insieme, gli uni accanto agli altri, come quando si va a Lourdes.
Spesso ancora oggi gli ammalti sono come i lebbrosi di un tempo: lasciati soli, tagliati fuori dalle relazioni. Gesù viene per questo: per reimmettere tutti in relazioni sane, cioè belle in cui ciascuno è prezioso e non si sente un peso ma si sa amato e capace di amare.
Questo è l’augurio che vi faccio: saper stare vicini gli uni e gli altri, anche se ciò comporta il rivedere alcune programmazioni, alcuni stili frenetici e frettolosi che ci contraddistinguono, anche se ciò comporta il riconciliarci con i nostri e altrui limiti, anche se ciò significa fare scelte in cui altre cose vanno in secondo piano. Solo così contrasteremo la solitudine di questa cultura individualista che genera frustrazione e disperazione. Solo così sapremo essere discepoli del Signore che gioiosamente si spendono stanno gli uni accanto agli altri. E dalla cultura dello scarto e dell’indifferenza passeremo a rendere viva la cultura della tenerezza e della compassione, come ci insegna Maria, come è nel Vangelo di Gesù.
Oggi vi chiedo questo: datevi un po’ di tempo per rallentare e per stare vicino a qualche malato e anziano. Fate una telefonata, suonate il campanello del malato vicino di casa, uscite di casa e fate un po’ di strada per andare a trovare l’amico fragile… Sappiate fare una carezza. Sappiate dare un bacio. Fate sentire all’altra persona il calore della vostra vicinanza. Che è il calore della fede in Dio che si fa carne in Maria, del Vangelo vissuto che riconosce il Dio vicino nel fratello fragile.