DIOCESI DI TRIESTE
Santa Messa
in occasione della Giornata internazionale della donna
✠ Enrico Trevisi
Sant'Antonio taumaturgo, 9 marzo 2024
Cari fratelli e sorelle,
Amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre
Nel messaggio per questa Quaresima papa Francesco scrive:
“Dio non si è stancato di noi. Accogliamo la Quaresima come il tempo forte in cui la sua Parola ci viene nuovamente rivolta: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (Es 20,2). È tempo di conversione, tempo di libertà. Gesù stesso, come ricordiamo ogni anno la prima domenica di Quaresima, è stato spinto dallo Spirito nel deserto per essere provato nella libertà. Per quaranta giorni Egli sarà davanti a noi e con noi: è il Figlio incarnato. A differenza del Faraone, Dio non vuole sudditi, ma figli. Il deserto è lo spazio in cui la nostra libertà può maturare in una personale decisione di non ricadere schiava. Nella Quaresima troviamo nuovi criteri di giudizio e una comunità con cui inoltrarci su una strada mai percorsa”.
Questo è tempo di conversione, tempo di libertà ritrovata, gustando quanto Dio non solo ha fatto ma ancora sta facendo: non solo ha liberato Israele dalla schiavitù dell’Egitto ma ancora continua a liberarci da tante ipocrisie e pregiudizi, da tanti stereotipi e condizionamenti che abbiamo ereditato. Non si tratta di giudicare la storia e le culture del passato. E nemmeno i cristiani e la Chiesa del passato. Si tratta piuttosto di rimetterci in ascolto del Vangelo e di cogliere che come Nicodemo dobbiamo di nuovo andare da Gesù e rimetterci in ascolto del progetto di Dio.
Potremmo rischiare di essere più attaccati agli stereotipi del passato piuttosto che rimetterci in discussione in ascolto di Gesù, nella notte profonda in cui ci troviamo, che è segno di confusione, di insidie, di tentazioni, di prove da affrontare.
In quella notte Nicodemo va da Gesù e Gesù lo accoglie e gli parla e gli svela il progetto di Dio.
Ma anche nel libro delle Cronache c’è questa rimozione del velo che copre la storia. Si disvela la commozione e compassione di Dio, ma si sperimenta anche – così non solo nei libri dell’Anico Testamento, ma anche nei nostri vissuti quotidiani – un insieme di sentimenti contrastanti: perché tanta sofferenza, perché tante ingiustizie, perché la deportazione del popolo di Dio, perché violenze e soprusi inimmaginabili (pensiamo alle guerre di questi mesi)? Perché Dio si è arrabbiato con noi? Perché l’ira di Dio? In questo contesto, in cui noi nella fede celebriamo la giornata della donna, delle donne, viene da interrogarci: ma perché tante discriminazioni? Perché tante violenze e femminicidi? Perché tanta cultura di sopraffazione nei confronti delle donne?
La spiegazione antica e nuova è che il peccato causa tutto questo male, e che Dio interviene per correggerci. Affermazioni vere ma del tutto insufficienti a spegnere i nostri interrogativi.
E allora siamo chiamati non tanto a giudicare il passato ma nell’oggi a rimetterci in discussione, nell’incontro vero e vertiginoso con il Signore che ci parla anche nel cuore della nostra notte culturale e personale.
Ci parla di questo mondo amato da Dio: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio” (Gv 3,16). E lo ha dato fino all’umiliazione, fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,8). E dovremmo fermarci in silenzio a contemplare il Crocifisso.
E nella lettera agli Efesini (2,4-5) si spiega: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati”.
Questa è la straordinaria ricchezza della grazia che ci è data e che ci consente di assumerci la libertà di scrivere il presente, di impegnarci per la giustizia, di iscrivere nei rapporti interpersonali la libertà che viene dalla grazia di Dio. Ogni persona – a prescindere dal sesso, dalla razza, dalla cultura e da ogni caratteristica che differenzia – è la destinataria della salvezza e dell’amore di Dio. In particolare stasera diciamo: abbiamo la responsabilità di riscrivere la pari dignità della donna nelle istituzioni, nelle famiglie, nella società, nella Chiesa. Non si tratta di retorica e nemmeno di ideologie: come cristiani, nella libertà che ci ha restituito Cristo ma per la quale siamo responsabilizzati, abbiamo il compito di testimoniare che è pensabile non solo sognare, non solo progettare ma anche vivere una cultura in cui ogni donna ha la possibilità di dare il suo apporto alla vita sociale ed ecclesiale con tutte le risorse di cui dispone. Non per omologare uomini e donne, ma perché ciascuno e ciascuna possa scoprire la ricchezza della propria identità e metterla a frutto, reciprocamente. Gli uni per gli altri. Gli uni con gli altri.
Non abbiamo risposte prefabbricate, procediamo forse anche con incertezze ed ingenuità ed errori. Certo femminismo talvolta ha esasperato ed esagerato, ma non meno e non più di certo maschilismo e immobilismo nel correggere le storture delle società e della Chiesa. Chi è stato a vedere il film di Paola Cortellesi (C’è ancora domani) riscopre come una manciata di anni fa eravamo in un contesto di violenza sulle donne e di prevaricazione che inorridiscono. Eppure sappiamo di quanta strada ancora dobbiamo percorrere. Ma in questa notte in cui ci sono ancora tanti, troppi soprusi verso le donne, possiamo tornare a parlare con Cristo e a lasciarci illuminare dalla sua grazia. E possiamo farlo anche insieme. Chissà che anche la Settimana sociale dei cattolici che vivremo qui a Trieste in luglio sul tema della democrazia e partecipazione possa aiutare tutti, nella società e nella Chiesa, a individuare ulteriori passaggi.
Come afferma il Papa si tratta di avviare processi, ma aggiungo, si tratta anche di alimentare processi di cambiamento e di maggiore umanità nel rispetto e promozione della dignità di tutti. E in particolare delle donne.