parallax background

Quali strade per ricostruire la democrazia?


Come amare la democrazia? Quali le strade per una “ricostruzione della democrazia”? Sono alcune delle domande che hanno fatto da fil rouge alla seconda giornata della Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, che si è aperta ieri a Trieste alla presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Occorre “ricostruire il soggetto democratico: se l’esperienza dell’oggi è quella di un diffuso senso di insicurezza, legata a un sentimento di spossessamento di sé, di essere nelle mani di altri, di un essere espropriati delle proprie radici, del proprio futuro, della propria identità, è facile la tentazione di voler offrire protezione a basso prezzo”, ha osservato il filosofo Michele Nicoletti, già Presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, per il quale “la ricostruzione del soggetto democratico si basa sul rafforzamento del potere di governo di sé, la capacità di pensare con la propria testa, il senso di indipendenza e la forza del carattere”. Nicoletti ha evidenziato la necessità di “animare la democrazia locale”. “Lo vedeva con chiarezza Tocqueville: se la democrazia muore nel piccolo, soffoca anche nella grande dimensione”, ha spiegato ricordando che “la democrazia non è solo elezione di capi: è anzitutto discussione e formazione discorsiva della volontà collettiva”. Secondo Nicoletti, inoltre, è fondamentale “battersi per una riforma dei partiti, che sono uno snodo cruciale nelle democrazie complesse”. “Abbiamo rimosso – ha scandito – l’articolo 49 della Costituzione dove i partiti sono chiamati in causa come strumento per realizzare il diritto fondamentale dei cittadini alla partecipazione democratica”. E, di conseguenza, “i rappresentanti devono recuperare una consapevolezza più profonda della loro natura duale: da un lato rappresentanti di una parte che li ha votati, dall’altro rappresentanti del tutto”. Nel suo intervento, Nicoletti ha quindi ravvisato l’urgenza di una democrazia “riparativa”, che consiste nel dare “voce a chi non ha nessuno che si faccia interprete delle sue istanze: di persone invisibili o sommerse o anche di realtà naturali che hanno bisogno del nostro ascolto e della nostra cura per poter sopravvivere”.

“Ogni autentica giustizia, ogni autentico impegno non può che ripartire da chi non ha voce, da chi reclama la sua parte che non significa solo la sua parte di beni” ma l’effettiva possibilità di “prendere parte alla costruzione della casa comune”, ha aggiunto da parte sua Annalisa Caputo, docente all’Università degli studi di Bari, per la quale “l’impegno in prima persona è singolare e plurale”, sulla scorta dell’“I care” di don Milani perché “ogni volta che trasformiamo la cura in ‘me ne frego’ contribuiamo all’avanzare dei fascismi”. Bisogna poi “difendere i focolai nelle oasi del noi”, perché “la tessitura del noi è sempre controcorrente, il bene è originario ma il male è radicale e la risalita all’origine è faticosa”. L’atteggiamento è importante: “Non si impone, si può solo testimoniare. E questo vale anche per la democrazia” che “è una prassi in divenire”. “Se la chiudiamo in un sistema di idee centrato sul noi già non è più democrazia”. Per Caputo è importante “seminare parole e pratiche di condivisione, perché così crescerà lo spazio della partecipazione e della condivisione” a partire dai ragazzi e dai giovani.

Del resto, “la democrazia non si riduce a scegliere i propri rappresentanti: è partecipazione a un’opera condivisa e concreta affidata a ciascuno”, ha rilevato Sabino Chialà, priore della Comunità di Bose, a cui è stata affidata la meditazione biblica iniziale. “L’autorità è affidata a tutti, nessuno è senza autorità, né nella Chiesa né nella società; non è questione di titoli ma di azioni concrete”, ha spiegato il Priore evidenziando che in base al mandato di Gesù “tutti hanno il potere di edificare o di distruggere, ciascuno nella sua misura. Tutti hanno autorità e ognuno deve rispettare l’autorità degli altri”. “Il problema non è chi esercita l’autorità, ma come la esercita”, ha precisato Chialà secondo il quale “un potere abusante non è soltanto quello esercitato da un singolo, può essere anche un potere esercitato da una intera comunità, da un sistema economico o di comunicazione”. “Il primo scivolamento verso un’autorità abusante – ha detto – è il cattivo uso della parola. La vera autorità è terapeutica, opera per il bene dell’altro, aiuta l’altro a stare al mondo. Il primo fallimento dell’autorità è quello di chi si serve degli altri anziché servire, di chi opera per la morte invece che per la vita”. “Un’autorità autentica – ha concluso – ha bisogno della libertà da se stessi: solo gli uomini liberi da sé stessi e dal proprio narcisismo potranno essere davvero autorevoli. L’autentica autorità è oblativa: ogni abuso di autorità implica sempre la non libertà da se stessi”.

Dopo le relazioni, i delegati si sono confrontati, divisi per gruppi, all’interno dei Laboratori di partecipazione. Nel pomeriggio, nelle vie della città, hanno preso il via le “Piazze della Democrazia” e i “Dialoghi delle Buone Pratiche”, con momenti di approfondimento e dibattito su tematiche come la famiglia, la salute, l’ecologia integrale, lo sport e l’inclusione.
A cura dell'Ufficio per le Comunicazioni sociali della Cei