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Io sono con te (Gen 28,15)


Diocesi di Trieste

✠ Enrico Trevisi,
Vescovo di Trieste


Lettera pastorale

Io sono con te
(Gen 28,15)

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Introduzione

Cari fratelli e sorelle,
Amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre

si apre un anno ricco di prospettive. Qui ne tratteggio alcune, a partire dalla convinzione che il Signore ci accompagna. Che non siamo soli. Che guardiamo al futuro consapevoli di essere con lo Spirito Santo: e dunque di aprire cuore e intelligenza per cogliere una parola, anzi una Presenza che getta luce e speranza e che responsabilizza.
Abbiamo bisogno di rielaborare quanto papa Francesco ci ha detto. Non possiamo archiviare il mandato ricevuto. Dobbiamo ripensare e rimeditare, anche con il supporto di quanto vissuto nella “Settimana sociale dei Cattolici in Italia” che si è tenuta dal 3 al 7 luglio 2024.
Siamo chiamati con la Chiesa universale a vivere il Giubileo del 2025: “Pellegrini di speranza” è un motto che mi piace. Apre squarci di positività e di senso sul futuro. Un cammino che ha una meta e che autorizza la fatica del procedere, insieme, come popolo di Dio. Con lo Spirito di Dio.
Siamo chiamati a fare tesoro dell’esperienza di sinodalità, nelle varie dimensioni per le quali si sono accesi tanti rinnovamenti e modi di lavorare assieme: a livello locale con i cantieri che ne sono nati; a livello di Chiesa italiana con le Assemblee sinodali che nella fase profetica tracceranno alcune piste; a livello di Chiesa universale con la nuova convocazione a cui seguiranno le indicazioni del Papa, ma anche i gruppi di studio che già sono nati.
C’è una convinzione, anzi preciso: è la fede nel Signore Gesù che ci appassiona! Noi abbiamo trovato il punto di riferimento attraverso cui guardare tutto e muoverci per le strade del mondo. È il Signore Gesù.
Nulla di più sbagliato che incasellare la Chiesa in una parte politica o ideologica. Noi siamo partecipi della storia ma avendo trovato in Gesù la via, la verità e la vita. E con Lui cerchiamo di capire come partecipare – a fianco di chi condivide questo cammino faticoso ma esaltante della storia – a costruire un mondo che sia secondo quelle esigenze che tutti ci caratterizzano: la verità, la giustizia, la libertà, l’amore. Quelle che san Giovanni XXIII aveva chiamato fondamenta della Pace (Pacem in terris).

Se la Fede non si rigenera, degenera:
sa di passato ammuffito.
Se la Speranza non si rafforza, infiacchisce:
prevale la disillusione intristita.
Se l’Amore non si rinnova, muore:
perché ha perso la sua identità.
Se il Vangelo non si invera, evapora:
rimane un’idea astratta.
Se la Chiesa non si incarna, sparisce:
solo tra la gente svolge la sua missione.
Se la Carità non disseta, inaridiscono i cuori:
non è la Carità di Cristo ma volontarismo.
Se il Perdono non risana, logora:
è un palliativo che imbroglia.
Se la Preghiera non nutre, affama:
altrove si cercherà l’essenziale per vivere.
Se il Cuore non magnifica il Signore, lo ha già dimenticato:
non è più il Principio della vita.
Se il Signore non è tutto, è niente:
l’ho ridotto a idolo.
Se manco di Compassione per il sofferente, è urgente la conversione:
sto rinnegando il Signore Gesù.
Se vivo la sua Chiamata, la mia vita si accende.
Di Spirito Santo.


1. Il Signore ci resta accanto


La liturgia ci porta a ripetere “Il Signore sia con voi”. Ma ci crediamo a questa invocazione-promessa-realtà? Sappiamo gustarla? Ne cogliamo i risvolti concreti?
L’incontro con il Signore, quando abbiamo superato la soglia del ripetere riti esteriori per accedere al mistero della sua intima presenza, genera timore. In quella Parola, in quella Liturgia, in quel Sacramento io accedo ad un incontro che fa venire le vertigini. Sarò capace di rispondere a quell’Amore divino che mi ha pensato, che mi chiede una mia libera compromissione? Quali difficoltà dovrò affrontare? Ma soprattutto: ne avrò la determinazione, la gioia, l’entusiasmo?
La vocazione a cui siamo chiamati è impegnativa. La nostra debolezza suscita apprensione; la nostra fragilità è un dato di fatto: siamo vulnerabili. Le nostre capacità sono del tutto inadeguate. Anche noi credenti siamo esposti al rischio della riduttiva logica delle prestazioni volontaristiche che ci fanno appoggiare su noi stessi (il Papa parla di neo-pelagianesimo, EG 94). Invece siamo chiamati a guardare a Gesù, Admirantes Iesum, e nella quotidiana esperienza mistica dell’essere con Gesù ci sappiamo nell’amore del Padre per camminare con lo Spirito, dentro le testimonianze che ci aspettano.
Quante volte la Bibbia, ci mostra persone chiamate e che immediatamente hanno consapevolezza dei propri limiti. Anche perché altrimenti ci sarebbe l’orgoglio saccente, la presunzione indisponente e pure lo sguardo minaccioso sugli altri. Tuttavia accanto a questa consapevolezza continuamente viene ripetuta la promessa del Signore: “Non temere, io sono con te” (cf. Dt 31,8.23; Lc 1,28). Vorrei suggerirti di contemplare queste pagine della Scrittura e di vedervi dentro la promessa che è sulla tua vita. Il Signore non fa differenze, anche con te vuole restare. Anche con te vuole dimorare. Dentro le sfide che ti fanno “figlio unico”, “figlia unica”, cioè con una tua testimonianza peculiare da rendere dentro questo tempo esaltante e sfidante: il mio, il tuo, il nostro. Quello nel quale Dio ci chiama a vivere quale suoi figli (e tutti fratelli), segni di Lui e del suo amore.

• A Isacco, dentro le vicende litigiose del suo stare tra i Filistei, viene detto: “rimani come forestiero in questa terra e io sarò con te e ti benedirò” (Gen 26,3); “Io sono il Dio di Abramo, tuo padre; non temere, perché io sono con te: ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza a causa di Abramo, mio servo” (Gen 26,24); e pure a Giacobbe quando riprende il cammino, durante il sogno in cui la scala poggia sulla terra ma arriva fino al cielo, ecco ancora la promessa: “Io sono con te e ti proteggerò dovunque andrai, non ti abbandonerò” (Gen 28,15; cfr anche Gen 31,3: “Torna alla terra dei tuoi padri, nella tua famiglia e io sarò con te”).
Con Isacco e con Giacobbe mi sento dentro una trama di famiglia, la discendenza di Abramo, ma con la chiarezza che queste relazioni debbono essere medicate e riconciliate. La presenza rassicurante e benedicente del Signore ravviva la promessa di Dio, ma responsabilizza in un cammino di riconciliazione a cui dobbiamo coraggiosamente contribuire. Anche rivedendo alcuni passi sbagliati che abbiamo percorso. Anche riaprendoci alla riconciliazione con il fratello Esaù del quale avevamo sfruttato la fragilità e con il quale dobbiamo esporci al rischio di un incontro, di un abbraccio. Tutti abbiamo un Esaù con cui rifare i conti, per una rinnovata e reciproca libertà riconciliata, in Dio che ci è Padre.

• A Mosè che non riesce a capacitarsi del comando di Dio: “Chi sono io per andare dal faraone e per fare uscire gli israeliti dall’Egitto?”, ecco di nuovo la promessa: “Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte” (Es 3,11-12).
Con Mosè il cammino di responsabilità si scontra con il passato del proprio fallimento (quando era giovane aveva ucciso l’Egiziano e poi aveva dovuto scappare e vivere da fuggiasco) e la chiamata sproporzionata di Dio, quando i limiti si fanno ancora più evidenti. Ma il Signore promette di essergli accanto. Anche noi, quando sperimentiamo i limiti dei nostri peccati, dei nostri insuccessi, dell’età che avanza (Mosè aveva ottant’anni quando al roveto ardente fa esperienza viva di Dio che gli parla) possiamo sperimentare che di nuovo Dio si fida di noi. E resta accanto a noi. E noi a fissare lo spettacolo di un qualche roveto che ci fa avvicinare ad una terra sacra nella quale Dio ci parla e nella quale dobbiamo toglierci i calzari. Dio ci parla: Dio ci è accanto. Dio ci affida una missione. Io sono una missione (ci ricorda papa Francesco).

• A Giosuè viene ripetuto cinque volte: “Io sono/sarò con te”. “Come sono stato con Mosè, così sarò con te: non ti lascerò né ti abbandonerò” (Gs 1,5); “Non ti ho forse comandato: «Sii forte e coraggioso»? Non aver paura e non spaventarti, perché il Signore, tuo Dio, è con te, dovunque tu vada” (Gs 1,9.17; 3,7;6,27).
Con Giosuè vorrei raccogliere l’eredita dei testimoni che mi hanno preceduto. Ora non possiamo vivere di nostalgie. Ora tocca a noi inverare il Vangelo come hanno fatto i nostri santi, i nostri martiri. Siamo devoti di san Giusto, di san Francesco, di sant'Antonio, di santa Teresa di Gesù Bambino, di santa Caterina, di san Giovanni Bosco… del beato Francesco Bonifacio. Ma ora in questo tempo tocca a noi vivere alla presenza di quel Dio che non abbandona. Noi chiamati a rendere visibile l’amore di Dio, la sua promessa di salvezza. I nostri giovani devono poter fare esperienza che noi abbiamo riconosciuto un amore che rende liberi, una luce che rischiara il futuro, una pace che inquieta i cuori per la giustizia e la cura di chi è povero ed escluso.

• A Gedeone, chiamato a combattere i Madianiti: “L’angelo del Signore gli apparve e gli disse: ‘Il Signore è con te, uomo forte e valoroso!’ (Gdc 6,12).
La storia si ripete innumerevoli volte. Non ci sono alibi. Non dire: ma io non sono Giacobbe, non sono Mosè, non sono Giosuè… Il Signore promette anche a te e anche a me di restarci accanto. E allora anche io sono nella buona battaglia della fede, del vivere al cospetto di Dio. Io chiamato alle mie sfide. Anche per me ci sono dei Madianiti che mi vorrebbero assoggettare alla loro prospettiva omologante: quanto è pervasiva la cultura dell’individualismo relativista, del gretto consumismo, della violenza aggressiva con cui l’altro viene mortificato. È il tempo di essere forti e valorosi ed evangelicamente critici. Insieme al Signore e insieme tra noi.

• Anche a Israele, al “resto di Israele”, mentre vive il dramma della deportazione a Babilonia, viene assicurato: “Non temere, perché io sono con te; non smarrirti, perché io sono il tuo Dio. Ti rendo forte e ti vengo in aiuto e ti sostengo con la destra della mia giustizia” (Is 41, 10). E ancora: “Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare” (Is 43,2). E appena dopo: “Tu sei prezioso ai miei occhi perché sei degno di stima e io ti amo… Non temere perché io sono con te” (Is 43,4-5).
Se la promessa è rivolta a ciascuno, ora però è evidente che il Signore parla al noi, al popolo di Dio, alla Chiesa. Non scoraggiamoci di fronte alle sfide epocali. Ci fa bene celebrare insieme la presenza di Dio. Gustare insieme il suo amore. Siamo preziosi ai suoi occhi. Siamo un popolo di peccatori, eppure siamo così amati da Dio. “Sarò con te” ripete il Signore al suo popolo, alla sua Chiesa. E lo ripete nel momento in cui si è sottoposti alla prova. Siamo chiamati a gustare interiormente. “Gustate e vedete come è buono il Signore” (Sal 33).

• A Geremia la promessa è ripetuta e, questa volta, non al popolo intero, ma a lui direttamente, a lui personalmente: “ ‘Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti’. Oracolo del Signore” (Ger 1,8). E poi ancora: “ ‘Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti’. Oracolo del Signore” (Ger 1,19).
La missione impegnativa di Geremia è accompagnata da una promessa di salvezza e liberazione: e “di fronte a questo popolo io ti renderò come un muro durissimo di bronzo; combatteranno contro di te, ma non potranno prevalere, perché io sarò con te per salvarti e per liberarti. Oracolo del Signore” (Ger 15,20). (cfr anche Ger 30,11; 46,28). Il popolo di Dio, la Chiesa, l’umanità hanno bisogno di profeti, di santi, di testimoni che sanno perseverare e che aiutano a rileggere la storia di salvezza. Oggi la Chiesa, il mondo hanno bisogno di nuovi Geremia. Non tirarti indietro. Geremia è l’emblema del profeta che con la sua vita profetizza. La parola di Dio in lui si fa un tutt’uno con la sua vicenda personale. Di questi testimoni oggi sentiamo nostalgia. E il Signore a promettere: ‘Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti’.

• A Maria l’Angelo dice: “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te” (Lc 1,28).
La promessa di Dio si compie in Maria, “Vergine Madre, figlia del tuo figlio” (Dante). Nella sua libertà ella accoglie la presenza del Dio che si fa carne: “umile e alta più che creatura”. C’è una gioia in questa promessa: “tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì che il suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura”. Si realizza il mistero del Dio che si fa presenza, “carne”: “Nel ventre tuo si raccese l’amore”. C’è una pienezza di Grazia. In Maria, ma che si rende accessibile a tutti noi. Gesù, il Cristo, il Figlio Unigenito è il Paraclito, cioè colui che è chiamato ad esserci accanto, vicino. Ma è promesso un altro Paraclito, lo Spirito Santo e con Lui sempre accanto possiamo permetterci la libertà di affrontare le sfide del mondo.

• A Paolo, che a Corinto è tentato di scoraggiarsi, il Signore dice: “Non aver paura, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male” (At 18,9-10).
E Paolo non esiterà a varcare mari e monti, tribunali e carcere (dopo essere passato per l’abisso della cecità, dell’umiliazione e pure di anni di meditazione e preparazione) pur di annunciare ovunque e a tutti il Cristo, il Risorto. Con la certezza che siamo benedetti, scelti, amati come figli, salvati, con il sigillo dello Spirito: del Dio con noi. Torniamo a leggere Efesini 1,3-14. Gustiamone i passaggi, lasciamo che il cuore divampi di grazia.

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d'amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui, mediante il suo sangue,
abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,
secondo la ricchezza della sua grazia.
Egli l'ha riversata in abbondanza su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
facendoci conoscere il mistero della sua volontà,
secondo la benevolenza che in lui si era proposto
per il governo della pienezza dei tempi:
ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà –
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
In lui anche voi,
dopo avere ascoltato la parola della verità,
il Vangelo della vostra salvezza,
e avere in esso creduto,
avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
il quale è caparra della nostra eredità,
in attesa della completa redenzione
di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.


La promessa del Signore Gesù, il Risorto, a quei discepoli intimiditi e paurosi è decisa: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Sono le ultime parole del Vangelo di Matteo che rimandano al suo inizio: al Dio con noi, all’Emanuele, il nome con il quale i profeti avevano annunciato il Messia (Mt 1,22-23).
Il Dio in cui noi cristiani crediamo non è lontano, non sta in un angolo nascosto del cielo, non vive come se i nostri problemi, le nostre gioie e le nostre angosce non lo toccassero. Egli è il “Dio con noi”, il Dio che sta al nostro fianco ogni giorno, fino a quando ci avrà accolto tutti nella sua casa, per sempre.
“Avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo” (Ef 1,13). Gesù lo aveva promesso: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi” (Gv 14,15-17). Gesù non ci lascia orfani, cioè soli, nell’affrontare i nostri giorni complicati. Dal Padre e dal Figlio, per il tramite del Figlio ci è dato lo Spirito Paraclito: dove “Paraclito” (che ora la nuova edizione della Scrittura non traduce) richiama una presenza amica. È Dio (la terza persona della Trinità) chiamato ad esserci sempre vicino, ad esserci sempre a fianco: a difenderci in ogni difficoltà (è l’Avvocato difensore), a consolarci nei nostri fallimenti (è il Consolatore). È con noi per rafforzarci quando siamo deboli (è il Medico celeste, è Fortezza) e per illuminare le nostre menti (è Sapienza, Intelletto, Consiglio, Scienza per quando siamo frastornati e rischiamo l’errore). Purifica la nostra relazione con Dio, purtroppo tentata da presunzioni che necessitano Pietà e Timor di Dio.

2. Guardare Gesù. Guardare con gli occhi di Gesù


Su alcune questioni siamo turbati e inquieti. Non abbiamo la facile soluzione. Forse nelle singole questioni talvolta eccediamo in prudenza o in ingenuità. Ma una cosa è certa. Noi abbiamo una guida. Non siamo soli. Il Signore è con noi. Lo Spirito Paraclito, con la pienezza dei suoi doni, sempre ci assiste.
Con passione siamo chiamati a trasmettere questa verità ai ragazzi e ai giovani, a chi crede e a chi non crede, ai poveri e agli esclusi.
Noi teniamo gli occhi fissi su Gesù. E così – per grazia, per lo Spirito Santo che ci è dato – guardiamo al mondo con i suoi occhi e anche scopriamo quanto Dio ancora sta facendo per noi. E come ancora ci parla: e noi disponibili ad ascoltare la sua Parola, a scrutare i segni della sua presenza viva.
I nostri occhi sul mondo piagato – e anche sulle nostre meschinità e fragilità – devono essere gli occhi di compassione di Gesù. E il nostro cuore deve lasciarsi convertire imparando dal suo cuore.

“«Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (Lc 4,20). Colpisce sempre questo passaggio del Vangelo, che porta a visualizzare la scena: a immaginare quel momento di silenzio in cui tutti gli sguardi erano concentrati su Gesù, in un misto di meraviglia e di diffidenza. Sappiamo tuttavia come andò a finire: dopo che Gesù ebbe smascherato le false aspettative dei suoi compaesani, essi «si riempirono di sdegno» (Lc 4,28), uscirono e lo cacciarono fuori della città. I loro occhi avevano fissato Gesù, ma i loro cuori non erano disposti a cambiare sulla sua parola. Così persero l’occasione della vita. Ma… avviene un incrocio di sguardi alternativo. Protagonista è il primo Pastore della nostra Chiesa, Pietro. Pure lui all’inizio non prestò fiducia alla parola “smascherante” che il Signore gli aveva rivolto: «Tre volte mi rinnegherai» (Mc 14,30). Così “perse di vista” Gesù e lo rinnegò al canto del gallo. Ma poi, quando «il Signore si voltò e fissò lo sguardo» su di lui, questi «si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto […] E uscito fuori, pianse amaramente» (Lc 22,61-62). I suoi occhi furono inondati di lacrime che, sgorgate da un cuore ferito, lo liberarono da convinzioni e giustificazioni fasulle. Quel pianto amaro gli cambiò la vita” (Francesco, Messa crismale, 28 marzo 2024).

Se non vogliamo perdere la strada, cadere in qualche insidia – come dice il salmo – occorre tenere fissi gli occhi sul Signore. Se perdiamo di vista Gesù, perdiamo noi stessi e cadiamo in qualche tranello, in qualche baratro.
I miei occhi sono sempre rivolti al Signore, / è lui che fa uscire dalla rete il mio piede” (Sal 25,15). L’interconfessionale traduce: “Ho gli occhi sempre fissi al Signore, / che protegge dalle insidie i miei passi”.
Con gli occhi di Gesù guardiamo al Padre, al mondo, a noi stessi.
Fissiamo lo sguardo sul Padre e Creatore di tutto il mondo e immedesimiamoci intimamente con i suoi magnifici e incomparabili doni di pace e con i suoi benefici. Contempliamo nella nostra mente e scrutiamo con gli occhi dell’anima il suo amore così longanime. Consideriamo quanto si mostri benigno verso ogni creatura” (dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa, cap. 19,2).
“Dobbiamo guardare noi stessi e dolerci dei nostri peccati in ordine alla salvezza. Ma dobbiamo anche guardare Dio, respirare in lui per avere la gioia e la consolazione dello Spirito Santo. Da una parte ci verrà il timore e l’umiltà, dall’altra la speranza e l’amore” (dai «Discorsi» di san Bernardo, abate, discorso 5,5).

3. Nel cammino sinodale,

con il fuoco dello Spirito


Prosegue il cammino sinodale della Chiesa universale e pure quello della Chiesa italiana, con la sua fase profetica. Ci saranno le assemblee e restiamo in attesa dei frutti. Soprattutto le Assemblee sinodali della Chiesa italiana ci interpelleranno.
L’icona guida che la Chiesa italiana ci consegna è la Pentecoste (At 1,8.12-14; 2,1-13): lo Spirito Santo che scende sugli apostoli impauriti nel Cenacolo, ma che li riattiva per una missione che fa attraversare i mari e i continenti, i secoli e le culture. Che grazia però, anche quando si è smarriti e frastornati per la violenza degli accadimenti, per lo scandalo del male che travolge addirittura Dio e la sua presenza, che Maria – come già allora nel Cenacolo – resta ancora oggi a fianco di questa nostra debolezza.

“Io sono con te”, continuamente ci dice Dio nella Scrittura.
E ci è rivelato che lo Spirito Santo è la presenza continua di Dio
in ciascuno di noi, nella Chiesa, nel mondo.
Camminiamo dunque con fiducia:
il rinnovamento che lo Spirito da protagonista sta promuovendo con il Sinodo
ci trovi tutti attenti e accoglienti,
capaci di vincere le tristezze nostalgiche e la vergogna per le nostre inadempienze,
come gli Apostoli, nel Cenacolo, con Maria.

Mentre scrivo non sono ancora pubblicati i Lineamenta per la prima Assemblea sinodale… Come Vescovi abbiamo discusso delle bozze che stanno per essere rielaborate dopo il confronto e i vari contributi. Tra di essi quello del Vescovo Erio Castellucci, presidente del Comitato Nazionale del Cammino sinodale. Ne riporto alcuni stralci, utili per cogliere alcune prospettive che ci vedono impegnati, tutti.
Si prende atto del tramonto di una situazione in cui la Chiesa “contava”. E aggiunge il vescovo Castellucci: “Sono davvero profetiche in proposito le parole di papa Benedetto XVI, quando previde per le comunità cristiane del futuro il definitivo abbandono delle strutture forti e di potere e l’assunzione, piuttosto, del ruolo di ‘minoranze creative’. Lo aveva affermato già nel 1969, da giovane teologo, e lo ha ripetuto da Papa (26 settembre 2009): non ha prospettato ‘minoranze aggressive’ e nemmeno ‘remissive’, ma ‘creative’. Le minoranze aggressive sono sempre alla ricerca del colpevole, additato prima di tutto nel mondo (mentalità, cultura, società), ma subito dopo anche negli altri cattolici, ritenuti tiepidi; le minoranze remissive invece si ritirano nella loro quiete irenica, formano circoli concordi e gratificanti per chi vi aderisce, e lasciano quelli di fuori al loro destino… Nessuno è entusiasta per il tramonto della cristianità – anche perché le strutture della cristianità dobbiamo ancora gestirle tutte, o quasi – e nessuno cade nella esaltazione di una pastorale della ‘decrescita felice’; ma la maggioranza dei cattolici comincia a porsi davanti a questo fenomeno in modo, appunto, creativo e generativo, leggendolo come uno dei ‘segni dei tempi’ (cf. Mt 16,3). In fondo il ‘sensum fidei fidelium’ percepisce che lo Spirito Santo, attraverso la storia, sta suggerendo una forma diversa dell’essere Chiesa, una vera ri-forma, che chiede di ‘uscire’.
Uscire da che cosa? Dalle forme consolidate, ma obsolete… per una missione più efficace…
La missione, dunque, non è uno degli argomenti, fosse pure il primo e principale, ma è l’alveo stesso nel quale scorre la corrente sinodale. Missione ‘secondo lo stile della prossimità’, cioè delicata ma non timida, presente ma non ossessiva, propositiva più che giudicante…”.
Saranno il Consiglio Pastorale Diocesano, il Consiglio Presbiterale e la Consulta delle Aggregazioni laicali a lavorare sui documenti preparatori alle due Assemblee sinodali della Chiesa italiana. Ma evidentemente tutte le realtà ecclesiali che vorranno potranno far pervenire i loro contributi al Vicario episcopale per il coordinamento della Pastorale.
Se la Fede non si rigenera, degenera:
sa di passato ammuffito.
Attingiamo allo Spirito e sarà una continua meraviglia.
Se la Speranza non si rafforza, infiacchisce:
prevale la disillusione intristita.
Apriamoci allo Spirito e il futuro sarà come un’aurora.
Se l’Amore non si rinnova, muore:
perché ha perso la sua identità.
Accogliamo lo Spirito, il legame d’amore tra il Padre e il Figlio.
Se il Vangelo non si invera, evapora:
rimane un’idea astratta.
Riscriviamo con lo Spirito il Vangelo in ogni nostro giorno.
Se la Chiesa non si incarna, sparisce:
solo tra la gente svolge la sua missione.
Guidata dallo Spirito sa farsi compagnia ad ogni persona ferita.
Se la Carità non disseta, inaridiscono i cuori:
non è la Carità di Cristo ma volontarismo.
Lo Spirito rende lieta la testimonianza.
Se il Perdono non risana, logora:
è un palliativo che imbroglia.
Lo Spirito compie il miracolo della riconciliazione.
Se la Preghiera non nutre, affama:
altrove si cercherà l’essenziale per vivere.
Lo Spirito compie il nostro rapporto con il Padre.
Se il Cuore non magnifica il Signore, lo ha già dimenticato:
non è più il Principio della vita.
Lo Spirito ci innesta nell’umilità di Maria
e nelle grandi cose che ha fatto il Signore.
Se il Signore non è tutto, è niente:
l’ho ridotto a idolo.
Ma Lui continua ad essere Dio!
Se manco di Compassione per il sofferente, è urgente la conversione:
sto rinnegando il Signore Gesù.
Lo Spirito Santo mi riprende per mano.
Se vivo la sua Chiamata, la mia vita si accende.
Di Spirito Santo.


4. Una digressione o forse no


Ci sono poeti contemporanei che sono come cantastorie e mi fanno pensare. In termini laici e poetici mi sembra che traducano un’umanità fragrante che trasuda di Vangelo. Come se lo Spirito ci sollecitasse in tanti modi: a noi riconoscere questo soffio che ci chiede apertura del cuore.
Certo che il Vangelo rimanda alla Salvezza, ma è pur vero che Gesù ci ha comandato: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”. Lui ci ha amati fino al dono sincero e totale di sé. Ma che bello quando questo amore sincero lo vediamo riflesso in tanti fratelli e sorelle che incarnano il Vangelo e sono rimando alla trascendenza, come avevano fatto i pastori a Betlemme oppure il samaritano della parabola o il cireneo sulla via crucis. Oppure i tanti misericordiosi che nella grande scena di Matteo 25 vivono le opere di misericordia senza sapere che dietro le sembianze di quell’affamato, assetato, povero, malato, carcerato c’è il mistero stesso di Dio.
Lo Spirito agisce attraverso la Parola e i Sacramenti, ma sa andare anche oltre e raggiungerci e sollecitarci in tanti linguaggi, in imprevedibili accadimenti. Apriamo il cuore anche alle meraviglie del creato e dell’umanità vera di tanti umili sapienti... di tanti poeti e cantastorie.
Scrive e canta Gio Evan:
“Dietro una persona
piena di rabbia
prima ancora dell’urlo
c’è un abbraccio di meno
un occhiolino contrario
c’è un bacio non stampato bene
una presenza appassita
o un’assenza piena,
prima di combattere quella rabbia
potremmo amare quel vuoto
dietro il terrore del buio
non c’è un uomo pauroso
ma un’infanzia senza abat-jour
dietro una persona
colma di insicurezze
prima ancora del suo dubbio
c’è una pacca sulle spalle non ricevuta
non c’è stato un “stai andando bene, mi fido di te”
manca la forza degli altri come regalo,
c’è un isolamento forzato
o una solitudine esile,
prima di giudicare
potremmo abbracciarla più forte
dietro la paura di amare
non c’è un uomo senza cuore
ma un incantesimo preso a calci
dietro una persona
dannatamente fragile
prima ancora della debolezza
si nasconde una guerra lunga e stancante,
prima di deriderlo
potremmo stargli accanto, unirci in battaglia”.

[Gio Evan]

E anche questo testo mi ispira:
Nonna le chiamava “persone medicina”
Diceva che ci sono persone che quando le guardi guarisci
Che appena le senti calmano i battiti
Aggiustano i polsi
Ti aprono le persiane del cuore e fanno entrare la luce vera
Quella del sole
Persone che con un abbraccio ti fermano la tachicardia di dentro
Quella che per notti e anni
Hai collezionato a colpi di ansie
Che nemmeno ti appartenevano
Nonna diceva che esistono persone che hanno le tisane dentro gli occhi
Camomilla nello sguardo
Che tu le vedi e ti si tranquillizza il respiro, i pensieri
E dopo averle incontrate anche i sogni diventano più puliti
Dopo averle incontrate pure i sogni sognano meglio
Diceva che esistono persone che non si spaventano dei tuoi dolori
Che non hanno paura di abbracciarti i traumi
Che sanno dove metterti dentro le parole giuste
Persone che hanno imparato a frequentare così bene il sole
Che sanno addirittura accompagnarti fino al tuo tramonto
Nonna le chiamava “persone medicina”
Diceva che ci sono persone che quando le guardi guarisci
A detta sua le uniche persone da frequentare
A detta sua le uniche persone da diventare
[Gio Evan, Compositori: Giovanni Giancastro / Tommaso Sgarbi]

Il nostro tenere fisso lo sguardo su Gesù è per imparare da Lui e per ottenere dallo Spirito la forza e la gioia di essere accanto ai fratelli, anche quelli che sbagliano; anche quelli che si sentono esclusi; anche quelli che si sentono falliti, con il suo stile, con il suo cuore, con la sua Grazia. Serve un abbraccio di più, una presenza meno appassita, una tenerezza che accompagni ogni bimbo, un incoraggiamento che fortifichi ogni giovane, tante “persone medicina” che quando le guardi guarisci. Lo Spirito è per rigenerarci a vita nuova. Se invece i cuori e le parole trasudano diffidenza, aggressività e indifferenza vuol dire che occhi e cuore non sono fissi su Gesù. Le nostre comunità, accogliendo lo Spirito Santo, debbono essere piene di “persone medicina”, di compagnie rassicuranti, di testimoni che incarnano la Parola di Gesù e la spezzano nel quotidiano “amatevi come io vi ho amati” (cf. Gv 13,34).


5. Il Papa a Trieste:

Avanti. E insieme. E in prima linea.


La Settimana Sociale dei cattolici in Italia, che si è svolta dal 3 al 7 luglio 2024, culminata con la visita del Papa, è un evento che va non tanto custodito gelosamente, ma piuttosto è come un seme che va accuratamente coltivato e che deve dare grandi frutti. Per quanto riguarda il tema e l’esperienza della Settimana sociale dei cattolici con i delegati triestini e poi in sinodalità cercheremo di coglierne quali sviluppi sono per noi auspicabili. Per riattivare la partecipazione e per costruire una democrazia attenta alle grandi sfide delle persone fragili e vulnerabili (dai nascituri agli anziani, dai giovani all’inverno demografico, dai migranti alle famiglie, dai carcerati ai disabili, ai malati terminali…) occorre guarire da quel consumismo che anestetizza e stordisce e rende indifferenti. La dottrina sociale della Chiesa che arriva fino alla “Fratelli tutti” ci sarà da guida: ma è evidente che solo insieme riusciremo a renderla come un faro per la nostra città.
Qui mi limito a riprendere alcune suggestioni dall’omelia che Francesco ha pronunciato alla santa Messa in Piazza dell’Unità d’Italia il 7 luglio scorso e che ci coinvolge direttamente, come intera Chiesa.
Nella prima parte il Papa, prendendo spunto dal Vangelo (Mc 6,1-6) ci parla dello scandalo che è Gesù per quelli della sua patria che si fanno domande sui prodigi e la sapienza di Gesù, ma si fermano solo alla sua storia terrena, al fatto che è il figlio di Giuseppe il falegname. Lo scandalo – argomenta il Papa – è l’umanità di Gesù, la presenza di Dio nell’umanità di Gesù.

“Come può Dio, onnipotente, rivelarsi nella fragilità della carne di un uomo? Come può un Dio onnipotente e forte, che ha creato la terra e ha liberato il suo popolo dalla schiavitù, come può farsi debole fino a venire nella carne e abbassarsi a lavare i piedi dei discepoli? È questo lo scandalo”.

Le parole del Papa sono già una traccia di “programma pastorale”. Anzitutto siamo chiamati a superare lo scandalo che è Dio che si rivela nell’umanità di Gesù:

“una fede fondata su un Dio umano, che si abbassa verso l’umanità, che di essa si prende cura, che si commuove per le nostre ferite, che prende su di sé le nostre stanchezze, che si spezza come pane per noi. Un Dio forte e potente, che sta dalla mia parte e mi soddisfa in tutto è attraente; un Dio debole, un Dio che muore sulla croce per amore e chiede anche a me di vincere ogni egoismo e offrire la vita per la salvezza del mondo; e questo, fratelli e sorelle, è uno scandalo”.

Prego ciascuno di fermarsi su questo “scandalo della fede” e di non essere superficiali di fronte a questa richiesta del Papa. Prima di procedere a fare, a iniziative variegate e pressanti (da quelle educative a quelle caritative) siamo chiamati a rinnovare la nostra meraviglia di fronte al Dio che si rivela nell’umanità di Gesù. Mi viene da aggiungere che dobbiamo tornare allo sguardo contemplativo su Gesù: Admirantes Iesum.
Ti contemplo Signore.
Bambino nella stalla di Betlemme.
Ti contemplo nel mistero feriale e scandaloso del lavoro di falegname.
E mentre sai accostarti al lebbroso e al cieco, al paralitico e al peccatore smarrito.
E con autorità sei Parola fatta carne.
Sei il Figlio prediletto eppure sei l’Umiliato e il Tradito.
Pane spezzato e benedetto.
Il Condannato del Golgota, mescolato tra i veri ladroni.
Vicino ad ogni condannato. Accanto ad ogni disperato perché ritrovi l’annuncio beato:
“Oggi sarai con me in Paradiso”.


Abbiamo bisogno dello scandalo della fede. Non abbiamo bisogno di una religiosità chiusa in se stessa, che alza lo sguardo fino al cielo senza preoccuparsi di quanto succede sulla terra e celebra liturgie nel tempio dimenticandosi però della polvere che scorre sulle nostre strade. Ci serve, invece, lo scandalo della fede, – abbiamo bisogno dello scandalo della fede – una fede radicata nel Dio che si è fatto uomo e, perciò, una fede umana, una fede di carne, che entra nella storia, che accarezza la vita della gente, che risana i cuori spezzati, che diventa lievito di speranza e germe di un mondo nuovo. È una fede che sveglia le coscienze dal torpore, che mette il dito nelle piaghe, nelle piaghe della società – ce ne sono tante –, una fede che suscita domande sul futuro dell’uomo e della storia; è una fede inquieta, e noi abbiamo bisogno di vivere una vita inquieta, una fede che si muova da cuore a cuore, una fede che riceva da fuori le problematiche della società, una fede inquieta che aiuta a vincere la mediocrità e l’accidia del cuore, che diventa una spina nella carne di una società spesso anestetizzata e stordita dal consumismo. E su questo mi fermo un po’… Si dice che la società nostra è un po’ anestetizzata e stordita dal consumismo: avete pensato, voi, se il consumismo è entrato nel vostro cuore? Quell’ansia di avere, di avere cose, di averne di più, quell’ansia di sprecare i soldi. Il consumismo è una piaga, è un cancro: ti ammala il cuore, ti fa egoista, ti fa guardare solo te stesso. Fratelli e sorelle, soprattutto, abbiamo bisogno di una fede che spiazza i calcoli dell’egoismo umano, che denuncia il male, che punta il dito contro le ingiustizie, che disturba le trame di chi, all’ombra del potere, gioca sulla pelle dei deboli. E quanti, quanti – lo sappiamo – usano la fede per sfruttare la gente. Quello non è la fede”.

Signore dammi una fede inquieta,
capace di vincere l’accidia del cuore e la pandemia della mediocrità.
Sveglia la mia coscienza
anestetizzata e stordita dal consumismo
da quell’ansia di avere, e avere di più
che è un cancro che fa ammalare il cuore.
Donami una fede che, contemplando il Crocifisso, l’Umiliato e l’Innocente ucciso
spiazza i calcoli dell’egoismo
non teme di denunciare le ingiustizie e disturbare le trame dei potenti
perché ti riconosce in ogni umiliato della terra, in ogni piccolo affaticato.


“Un poeta di questa città, descrivendo in una lirica il suo abituale ritorno a casa di sera, afferma di attraversare una via un po' oscura, un luogo di degrado dove gli uomini e le merci del porto sono “detriti”, cioè scarti dell’umanità; eppure proprio qui – egli scrive – così, cito: «io ritrovo, passando, l’infinito nell’umiltà», perché la prostituta e il marinaio, la donna che litiga e il soldato, «sono tutte creature della vita e del dolore; s’agita in esse, come in me, il Signore» (U. Saba, «Città vecchia», in Il canzoniere (1900-1954) Edizione definitiva, Torino, Einaudi, 1961). Questo, non dimentichiamolo: Dio si nasconde negli angoli scuri della vita della nostra città, avete pensato a questo? Agli angoli oscuri nella vita della nostra città? La sua presenza si svela proprio nei volti scavati dalla sofferenza e laddove sembra trionfare il degrado. L’infinito di Dio si cela nella miseria umana, il Signore si agita e si rende presente, e si rende una presenza amica proprio nella carne ferita degli ultimi, dei dimenticati, degli scartati. Lì si manifesta il Signore. E noi, che talvolta ci scandalizziamo inutilmente di tante piccole cose, faremmo bene invece a chiederci: perché dinanzi al male che dilaga, alla vita che viene umiliata, alle problematiche del lavoro, alle sofferenze dei migranti, non ci scandalizziamo? Perché restiamo apatici e indifferenti alle ingiustizie del mondo? Perché non prendiamo a cuore la situazione dei carcerati, che anche da questa città di Trieste si leva come un grido di angoscia? Perché non contempliamo le miserie, il dolore, lo scarto di tanta gente nella città? Abbiamo paura, abbiamo paura di trovare Cristo, lì”.

Signore ti ho trovato nel grido di angoscia e di speranza dei miei fratelli più vulnerabili.
Signore tu sei con me negli angoli oscuri della vita.
Signore tu sei con me nei volti scavati dei fratelli e delle sorelle che soffrono incompresi.
Signore tu sei con me e ti riconosco negli ultimi, negli scartati, negli umiliati, nei dimenticati.
Signore tu sei con me in chi cerca riscatto e fugge dalla propria Patria.
Signore tu sei con me nel condannato e nel carcerato che annaspa nel suo dolore.
Signore tu sei con me nella famiglia che desidera incarnare l’amore, riflesso del tuo Amore.
Signore tu sei con me nell’inquietudine dei giovani disorientati.
Signore tu sei con me nel lavoratore che suda e che spesso è sfruttato e malpagato.
Signore tu sei con me nella sorella e nel fratello che annebbiati aspettano la fine dei giorni terreni.
Signore tu sei con me in ognuno dei miei familiari, anche quando mi sento incompreso.
Signore tu sei con me, ovunque mi rigiro colgo i segni della tua Presenza santa.
Signore tu sei con me e hai compassione di me, fragile discepolo.
Signore tu sei con me per guarirmi dal cancro dell’indifferenza e della diffidenza.
Signore tu sei con noi per tracciare la via del vivere da fratelli. Fratelli tutti! Fratelli tutti!


“Carissimi, Gesù ha vissuto nella propria carne la profezia della ferialità, entrando nella vita e nelle storie quotidiane del popolo, manifestando la compassione dentro le vicende, e ha manifestato l’essere Dio, che è compassionevole. E per questo, qualcuno si è scandalizzato di Lui, è diventato un ostacolo, è stato rifiutato fino ad essere processato e condannato; eppure, Egli è rimasto fedele alla sua missione, non si è nascosto dietro l’ambiguità, non è sceso a patti con le logiche del potere politico e religioso. Della sua vita ha fatto un’offerta d’amore al Padre. Così anche noi cristiani: siamo chiamati a essere profeti, testimoni del Regno di Dio, in tutte le situazioni che viviamo, in ogni luogo che abitiamo”.

Nella profezia della ferialità vogliamo amarti e servirti, Signore.
Nella tua compassione vogliamo camminare, Signore.
Liberi dalle logiche del potere politico e religioso che ti condannano, Signore.
Facendo della vita un’offerta d’amore al Padre.
Sull’esempio di te, Signore Gesù che rendendo grazie al Padre ti sei è dato per noi, peccatori.


“Fratelli e sorelle, da questa città di Trieste, affacciata sull’Europa, crocevia di popoli e culture, terra di frontiera, alimentiamo il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità; per favore, non scandalizziamoci di Gesù ma, al contrario, indigniamoci per tutte quelle situazioni in cui la vita viene abbruttita, ferita, uccisa; portiamo la profezia del Vangelo nella nostra carne, con le nostre scelte prima ancora che con le parole. Quella coerenza fra le scelte e le parole. E a questa Chiesa triestina vorrei dire: avanti! Avanti! Continuate a impegnarvi in prima linea per diffondere il Vangelo della speranza, specialmente verso coloro che arrivano dalla rotta balcanica e verso tutti coloro che, nel corpo o nello spirito, hanno bisogno di essere incoraggiati e consolati. Impegniamoci insieme: perché riscoprendoci amati dal Padre possiamo vivere come fratelli tutti. Tutti fratelli, con quel sorriso dell’accoglienza e della pace dell’anima. Grazie”.

Guardiamo a Te, Gesù
alla tua vita abbruttita, ferita e uccisa
e ci indigniamo per le troppe volte in cui la vita di troppe sorelle e fratelli
viene abbruttita, ferita e uccisa
e desideriamo portare la profezia del Vangelo nella nostra carne
nelle nostre scelte prima che nelle nostre parole.
In prima linea, con Te.
Admirantes Iesum.
E in te troviamo il coraggio: Avanti! Avanti! E insieme impegnati.
C’è un Vangelo di speranza da vivere e che dia consolazione
a noi di Trieste e a quelli che passano nella rotta balcanica
a chi crede e a chi è in ricerca
a chi vive l’amore e a chi ancora ha il cuore malato e indurito
ai sani e agli ammalati
e anche a chi in carcere spera in un tempo di riscatto e di riparazione.
Admirantes Iesum: in Lui tutti amati, benedetti, mandati
con quel sorriso dell’accoglienza e della pace dell’anima
che rivela la tua nascosta presenza.

6. Pellegrini di speranza


Spes non confundit”, “la speranza non delude” (Rm 5,5). Papa Francesco ci invita a vivere il prossimo anno, il prossimo Giubileo, come “pellegrini di speranza”.
Vogliamo che il prossimo Giubileo sia vissuto come “un incontro vivo e personale con il Signore Gesù”.

“Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni. Lasciamoci condurre da quanto l’apostolo Paolo scrive proprio ai cristiani di Roma” (Francesco, Spes non confundit 1).

Nella Bolla di Indizione del Giubileo, il Papa ci esorta a recuperare le ragioni della speranza, in un tempo che spesso appare grigio e intristito, pieno di gravi problemi che rendono cupo il futuro. “La speranza cristiana non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? [...] Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati” (Rm 8,35.37)” (Spes non confundit 3).
Siamo chiamati, nell’intreccio di speranza e pazienza, a cogliere la vita cristiana come un cammino: “un cammino, che ha bisogno anche di momenti forti per nutrire e irrobustire la speranza, insostituibile compagna che fa intravedere la meta: l’incontro con il Signore Gesù” (Ivi, n. 5).
Non mancheranno proposte concrete per il prossimo anno giubilare: già c’è il calendario degli appuntamenti che il Papa ha fissato per chi va pellegrino a Roma, ma pure abbiamo predisposto un nostro fitto calendario di appuntamenti, che ci porteranno anche in diocesi a promuovere diversi incontri per chi non riesce ad andare a Roma (o eventualmente come preparazione agli appuntamenti con il Papa).
Soprattutto il Santuario di Monte Grisa, il Tempio di Maria Madre e Regina, sarà la meta di questi pellegrinaggi diocesani che scandiranno il 2025 (anche se non mancheranno appuntamenti in altre chiese).
Vogliamo cogliere il Giubileo come occasione per ritrovarci e celebrare insieme la meraviglia per quanto il Signore ha fatto e per la sua continua presenza in mezzo a noi.
Il Giubileo a Roma inizierà il 24 dicembre 2024 con l’apertura della Porta Santa nella Basilica di San Pietro in Vaticano.
Domenica 29 dicembre invece in tutte le Cattedrali i vescovi celebreranno la Santa Eucaristia come solenne apertura dell’Anno giubilare. Partiremo dalla chiesa di Sant’Apollinare martire dei Frati Minori Cappuccini (Montuzza) e in processione/pellegrinaggio cammineremo verso la Cattedrale: “sia il segno del cammino di speranza che, illuminato dalla Parola di Dio, accomuna i credenti” (Ivi, n. 6).
Siamo chiamati ad attingere la speranza nella Grazia di Dio. E per questo numerosi saranno gli appuntamenti che ci vedranno attenti a celebrare la Parola del Signore, solleciti nel sacramento della Riconciliazione e riconoscenti nel sacramento dell’Eucaristia. Attenti anche ad invitare persone che fanno parte delle nostre comunità ma che talvolta rischiamo di lasciare un po’ in ombra, magari per le difficoltà logistiche o per le più diverse ragioni che ci rendono frettolosi nei confronti di chi chiede tempi più lenti, parole più meditate, cuori più compassionevoli.
Radicati nel Signore saremo sollecitati a dare segni di speranza a chi vive il dramma della guerra e delle innumerevoli ingiustizie e iniquità tra i popoli, alle giovani coppie che faticano a vivere l’entusiasmo del trasmettere la vita (l’inverno demografico è uno dei maggiori indici di difetto di speranza), ai detenuti che vivono indegne condizioni nelle nostre carceri, agli ammalati che si trovano nelle case o negli ospedali, ai giovani e al loro futuro che può di nuovo riaccendersi nell’entusiasmo che si fonda in Dio e nel suo amore.
“La speranza, insieme alla fede e alla carità, forma il trittico delle “virtù teologali”, che esprimono l’essenza della vita cristiana (cfr. 1Cor 13,13; 1Ts 1,3). Nel loro dinamismo inscindibile, la speranza è quella che, per così dire, imprime l’orientamento, indica la direzione e la finalità dell’esistenza credente. Perciò l’apostolo Paolo invita ad essere «lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rm 2,12). Sì, abbiamo bisogno di «abbondare nella speranza» (cfr. Rm 15,13) per testimoniare in modo credibile e attraente la fede e l’amore che portiamo nel cuore; perché la fede sia gioiosa, la carità entusiasta; perché ognuno sia in grado di donare anche solo un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito, sapendo che, nello Spirito di Gesù, ciò può diventare per chi lo riceve un seme fecondo di speranza. Ma qual è il fondamento del nostro sperare? Per comprenderlo è bene soffermarci sulle ragioni della nostra speranza (cfr. 1Pt 3,15)” (Ivi, n. 18).
Segni di speranza siamo tutti chiamati ad esserlo nella nostra ferialità. Tutti, nessuno escluso. Prima di inventare iniziative strane, noi siamo chiamati a diventare “segni di speranza”. Le iniziative sono utili, ma anche sempre precarie e insufficienti. Ciascuno di noi è chiamato a divenire un “segno di speranza”: su questo dovremo fermarci a riflettere, e convertirci.
- Cogliamo il Giubileo come l’occasione, l’appello a prenderci cura della nostra vita spirituale: è un anno speciale e allora diamoci un tempo speciale per la preghiera e il silenzio e l’Adorazione eucaristica con cui guardiamo alla vita, a noi stessi, al mondo, con gli occhi del Signore e alla luce della sua Parola.
- Osiamo fare scelte di formazione cristiana: è triste se come credenti assecondiamo le mode e la cultura del tempo senza approfondire quanto ci è rivelato nella Scrittura, senza collocarci dentro la grande tradizione della fede che ancora ci aiuta a trovare il cammino delle nostre responsabilità. In questa prospettiva richiamo a prendere in seria considerazione anche l’Istituto di Scienze Religiose – polo FAD che si tiene a Trieste (in Seminario – via Besenghi 16) anche eventualmente come uditori e solo per singoli corsi. Come pure segnalo la proposta di una Scuola di teologia per tutti (“L’avventura della fede”) che si tiene al venerdì sempre in Seminario di via Besenghi.
- Diverse sono le spiritualità e diversi sono i cammini formativi attraverso parrocchie, associazioni, movimenti, comunità neocatecumenali. Anche attraverso la proposta degli Esercizi spirituali. Non accontentiamoci di una vita spirituale mediocre e superficiale…
- Osiamo vivere quest’anno dando spazio/tempo alla nostra vita spirituale e a vincere il cancro del consumismo e dell’avere, come ci ha richiamato il Papa a Trieste e come ha ribadito per es. il 21 luglio 2024: “possiamo chiederci: io mi so fermare durante le mie giornate? So prendermi un momento per stare con me stesso e con il Signore, oppure sono sempre preso dalla fretta, la fretta per le cose da fare? Sappiamo trovare un po’ di ‘deserto’ interiore in mezzo ai rumori e alle attività di ogni giorno?”.
- Osiamo riscoprire il senso e il valore del sacramento della riconciliazione e dell’avere una guida e un accompagnamento spirituale.
- Per informazioni sull’Istituto di Scienze Religiose e sulla Scuola di teologia per tutti si può contattare: issr@seminariotrieste.it - 3384615256

7. Cantieri sinodali che proseguono


Le parole del Papa, il Giubileo che vivremo non sono distrazione verso l’impegno di rinnovamento in cui siamo ingaggiati. La fase profetica del sinodo vede le Chiese attive anzitutto nel proseguire i cantieri sinodali e nel cogliere – per mezzo dello Spirito – i passaggi che siamo chiamati a vivere. Tanti cantieri sono aperti e chiedono il rinnovato entusiasmo di tutti.
È evidente che lo stile del “camminare insieme” è delineato, come minoranza creativa (e non aggressiva e nemmeno remissiva, come già richiamato). Di un camminare con fede ma anche con l’umiltà del fermarci accanto alle persone con i loro drammi, con le loro ferite, con i loro interrogativi. Meditiamo ancora sulle parole di papa Francesco, non diamole per assimilate: “una fede radicata nel Dio che si è fatto uomo e, perciò, una fede umana, una fede di carne, che entra nella storia, che accarezza la vita della gente, che risana i cuori spezzati, che diventa lievito di speranza e germe di un mondo nuovo. È una fede che sveglia le coscienze dal torpore, che mette il dito nelle piaghe, nelle piaghe della società – ce ne sono tante –, una fede che suscita domande sul futuro dell’uomo e della storia; è una fede inquieta, e noi abbiamo bisogno di vivere una vita inquieta, una fede che si muova da cuore a cuore, una fede che riceva da fuori le problematiche della società, una fede inquieta che aiuta a vincere la mediocrità e l’accidia del cuore, che diventa una spina nella carne di una società spesso anestetizzata e stordita dal consumismo”.
I cantieri aperti negli scorsi anni non sono conclusi: restano come vie aperte sulle quali camminare accarezzando la vita della gente e risanando i cuori spezzati.
Qui riprendo alcuni di questi cantieri nei quali continuare a lavorare insieme, per familiarizzare con questo stile originario dell’essere Chiesa.

7.1 Il cantiere della trasmissione della fede (evangelizzazione e catechesi)


Si è interrotto l’anello di trasmissione della fede. Questo vale per le famiglie e le comunità di lingua italiana come per quelle di lingua slovena. Le analisi sono impietose: adolescenti e giovani sono sempre più scettici e lontani dalle nostre liturgie e dalla comunità cristiana. Sono temi sui quali dobbiamo interrogarci. Essi evidenziano una domanda di senso, una ricerca che però spesso non ci trova interlocutori attendibili.
Le sfaccettature sono tantissime: ma anzitutto sentiamo che come adulti abbiamo bisogno noi di essere più saldi nella fede, di quella fede che sa essere luce nelle tenebre, sale che dà sapore, lievito che fermenta. Di una formazione più solida ne abbiamo tutti bisogno: preti, religiosi e laici. E di una formazione che alimenta tutte le dimensioni: intellettuale, spirituale, umana, pastorale… Non sciupiamo l’occasione dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose e della Scuola di Teologia per tutti. Certo poi serve una formazione specifica per catechisti, per ministri straordinari della comunione, per i lettori, per gli educatori… E su tutto questo continueremo a lavorare.
Ambiti peculiari su cui è bene trovare una convergenza di prassi nelle nostre comunità sono:
- L’accoglienza e la preparazione dei Catecumeni adulti (dai 7 anni in su, precisano le direttive). È bene che il percorso sia fatto con serietà e secondo le indicazioni che il Servizio per il catecumenato presso l’Ufficio catechistico ancora richiamerà a tutti, magari aiutandosi nei decanati. Tuttavia ricordo che la questione non è semplicemente l’adeguarsi alla prassi stabilita dalla Chiesa, ma il saper suscitare il desiderio di diventare cristiani nei tanti che non sono battezzati. E poi saperli accompagnare dentro una vita di comunità, condividendo la gioia della fede e l’impegno della testimonianza.
- La Catechesi battesimale ai genitori che chiedono il battesimo dei figli: è una delle esperienze più belle per un prete e per i suoi collaboratori. Ci si inserisce nella gioia dei genitori che hanno dato la vita al loro figlio: occorre saper cogliere la loro domanda (anche se talvolta piena di lacune, di debolezze) con molto rispetto e delicatezza. Quante volte a Gesù si avvicinavano persone che avevano una fede immatura, piena di equivoci… e Lui con pazienza ad accogliere, ad ascoltare, ad accompagnare. È l’occasione per ridire le ragioni della nostra fede; per annunciare di nuovo il mistero di Cristo e di come ci inserisce nella sua vita mediante il battesimo. È il momento per presentare la propria comunità parrocchiale e quanto si sta cercando di vivere insieme. Attraverso la spiegazione previa del rito si fa una catechesi su tanti aspetti della vita cristiana. Cerchiamo di essere generosi e accoglienti, flessibili nell’andare incontro alle esigenze dei genitori (spesso alle prese anche con i turni di lavoro). È bene almeno un incontro farlo singolarmente nella casa del battezzando: e sperimenteremo noi l’essere accolti, l’essere ospiti, l’essere rispettosi delle loro paure e speranze. È opportuno iniziare a coinvolgere qualche coppia di sposi che ci affianchi nella preparazione dei genitori.
- La catechesi ai bambini nel percorso dell’Iniziazione Cristiana, dalla Prima Comunione al post-Cresima, la si renda continuativa. Sappiamo quanto è lacunosa la trasmissione della fede in tante famiglie. Cerchiamo di sorreggere le famiglie nelle loro responsabilità (anche con appositi incontri con i genitori) ma anche di proporre esperienze in cui i bambini, fin dalla prima elementare con coloro che ci stanno, cominciano a ritrovarsi (fare gruppo), a imparare le preghiere, ad avere un primo approccio alla comunità, ai suoi gesti e riti, all’edificio chiesa e alla spiegazione delle varie dimensioni. Se è vero che esiste un analfabetismo religioso dobbiamo farci carico di una alfabetizzazione intelligente, gioiosa, piena di significati illuminanti e che danno speranza alla vita anche di un bambino. E poi via via l’itinerario catechistico, anche con il rinnovo delle metodologie affinché i bambini non pensino di trovarsi ancora a scuola riducendo l’iniziazione cristiana all’apprendimento di formule. Sappiamo quanto sia delicato l’incontro personale con Dio e il suo mistero di amore per ciascuno: ma a questo noi miriamo! Ricordo che l’Ufficio catechistico diocesano è disponibile ad affiancare i presbiteri e i catechisti delle nostre parrocchie anche nelle programmazioni/stesure dei percorsi.
- La preparazione per i cresimandi adulti sia accurata, evitando approssimazioni e sconti che generano soltanto equivoci. Lo sappiamo diversi hanno una partecipazione scarsa alla vita della comunità. Non si tratta di essere rigidi nel numero degli incontri o nel porre obblighi che sanno di ricatto… ma di suscitare un nuovo sguardo di fede, un nuovo desiderio di partecipare all’Eucaristia, un autentico desiderio di Dio. Sappiamo che non è facile: ma è bello riprovarci noi con entusiasmo e tutte le volte! Su questo aspetto rimando alla Lettera spedita dall’Ufficio catechistico ai sacerdoti del 21 settembre 2023.
- La proposta del post-cresima sia fatta con chiarezza a tutti i cresimati. Abbiamo in diocesi diversi modelli. Nessuno ha la formula magica ed esclusiva. Possiamo però contaminarci e ricercare stili, metodologie, contenuti, passione educativa che ci rinnovano anche nella nostra testimonianza multiforme.
- La formazione dei catechisti rimane essenziale. Si valorizzino oltre alle proposte parrocchiali anche quelle diocesane e del Triveneto.
- Coordinati dall’Ufficio catechistico, camminiamo per proporre linee condivise per meglio sostenere il cammino di fede di tutti.
- In particolare in ogni comunità nella quale ci sono catecumeni adulti accordarsi con il Servizio per il catecumenato presso l’Ufficio catechistico per come meglio accompagnarli, discernendo caso per caso.
- In ogni parrocchia si dedichi un Consiglio pastorale per discernere come meglio accompagnare e preparare i genitori che chiedono il battesimo dei figli; e per come rilanciare la catechesi dei bambini in modo continuativo e non solo in preparazione dei sacramenti, a partire dalla prima elementare.
- Per la preparazione degli adulti alla cresima ci si aiuti a livello decanale.
- A livello diocesano o decanale ci si incontri per conoscere i diversi modelli di post-cresima e perché siano rilanciati ovunque.
- Per tutto questo si può contattare don Andrea Mosca o suor Vittorina Cinque.
mail: uffcatechistico@diocesi.trieste.it

7.2 La carità non è delegabile: il volontariato e la partecipazione


Il cardinal Matteo Zuppi nell’intervento iniziale alla Settimana sociale dei cattolici il 3 luglio 2024 ha affermato:
“Oggi la democrazia soffre perché le società sono sempre più polarizzate, attraversate cioè da tensioni sempre più aspre tra gruppi antagonisti, dominate dalla contrapposizione amico-nemico, dalla pervasiva convinzione che l’individuo è tale quando è al centro, mentre è solo nella relazione che la persona comprende il suo valore. Le pandemie ci hanno fatto comprendere il senso di comune appartenenza, di comunità di destino, di partecipazione a una vicenda collettiva. Non c’è democrazia senza un “noi”. Non c’è persona senza l’altro. La democrazia non solo afferma la libertà, ma promuove anche l’uguaglianza, non proclama astrattamente i diritti, ma difende concretamente la dignità umana soprattutto dove è più pesantemente violata. Ecco perché la democrazia non vuol dire solo istituzioni, leggi e procedure, diritti e doveri, ma anche inclusione dell’altro, del fragile, dell’emarginato. Vuol dire contrasto alla cultura dello scarto, alle dipendenze con le loro drammatiche conseguenze in tante violenze, alle condizioni indegne nelle carceri, ai tanti feriti della malattia psichiatrica”.

Come cattolici vogliamo essere sui fronti dell’inclusione di ogni persona che si trova ai margini.

“La solidarietà è un motore invisibile ma indispensabile di tutta la vita collettiva. La sua mancanza indebolisce il tessuto sociale, ostacola la crescita economica, offende l’individuo e non ne sa valorizzare le capacità e, alla fine, svuota la democrazia. La solidarietà passa attraverso le comunità in cui l’uomo vive: le comunità ecclesiali e le tantissime realtà di libero e gratuito altruismo, la famiglia ma anche le comunità locali e regionali, la nazione, il continente, l’umanità intera” (M. Zuppi).

Il volontariato è dunque una partecipazione propedeutica ad altre forme di attiva costruzione alla vita del nostro Paese e del mondo intero. E il Vangelo ci insegna che occorre uscire dalle polarizzazioni e aggressive contrapposizioni che impediscono di porre al centro la persona e il suo bisogno di essere riconosciuta nella sua dignità, anche spirituale.
Il Papa ha esortato la Chiesa di Trieste. Anzi ha usato degli imperativi. Ed è evidente che nessuno può sottrarsi. La carità non è un optional per il discepolo di Cristo. Ciascuno è chiamato seriamente a mettersi in discussione per discernere a quale forma di testimonianza e di carità è chiamato. Talvolta attraverso carismi personali che uno si ritrova (il desiderio e la passione educativa; o di stare vicino ad un malato); altre volte sono le necessità di chi si trova sulla propria strada (quel vicino disabile e solo); altre ancora sono chiamate che in certe epoche sembrano interpellarci e fanno sorgere la domanda: cosa posso fare per sostenere il disagio di tante famiglie povere, la condizione estrema dei senza fissa dimora, l’emergenza dei migranti della rotta balcanica…?
Per chi ha lo sguardo di Cristo, per chi ha il cuore educato dalla compassione di Cristo è facile individuare dove fermarsi e aiutare, dove mettersi in gioco. Con uno stile di gratuità e di prossimità.
È evidente che serve formazione. E la Caritas diocesana è di supporto a tutti, singoli e comunità, per rilanciare la propria testimonianza anche in ambiti che talvolta ci spaventano e per i quali è bene anche organizzarci e aiutarci per meglio saper aiutare.

“L’infinito di Dio si cela nella miseria umana, il Signore si agita e si rende presente, e si rende una presenza amica proprio nella carne ferita degli ultimi, dei dimenticati, degli scartati. Lì si manifesta il Signore. E noi, che talvolta ci scandalizziamo inutilmente di tante piccole cose, faremmo bene invece a chiederci: perché dinanzi al male che dilaga, alla vita che viene umiliata, alle problematiche del lavoro, alle sofferenze dei migranti, non ci scandalizziamo? Perché restiamo apatici e indifferenti alle ingiustizie del mondo? Perché non prendiamo a cuore la situazione dei carcerati, che anche da questa città di Trieste si leva come un grido di angoscia? Perché non contempliamo le miserie, il dolore, lo scarto di tanta gente nella città? Abbiamo paura, abbiamo paura di trovare Cristo, lì” (Francesco, omelia 7-07-2024).

Abbiamo aperto un “cantiere carcere” e se qualcuno vuole inserirsi, con la necessaria formazione, continuiamo a raccogliere la sfida di una realtà complessa e delicata ma che non ci deve vedere distratti. Un “cantiere carcere” che vede la partecipazione di tante realtà triestine diverse, ma tutte accomunate dalla ricerca di tutelare maggiormente la dignità dei carcerati. È un paradosso che le persone sono in carcere perché non rispettano le leggi ma poi lo Stato non rispetta le Leggi e i Trattati sottoscritti che regolamentano le carceri. E si lascia sola la Polizia Penitenziaria in una situazione esasperata. La sfida è anche quella culturale di una giustizia riparativa e del preparare un reinserimento dignitoso.
Continua l’impegno di accoglienza dei migranti della rotta balcanica. Oltre a tutte le strutture, anche della Fondazione Caritas, sparse in varie località ricordo due ambiti particolari:
- Dopo lo sgombero del Silos, l’Ostello di Campo Sacro diventa il luogo dedicato all’accoglienza di chi attraversa la porta a Nord-Est della Rotta Balcanica, in cerca di un futuro migliore. Qui le persone in transito possono trovare informazioni, un letto e servizi igienici adeguati in attesa di decidere come proseguire nel loro viaggio.
- In città rimane sempre attivo il Dormitorio di via Sant’Anastasio, nato per contrastare l’emergenza del freddo durante i mesi invernali e tutt’ora a pieno regime perché migranti fragili (anche donne con bambini) arrivano tutto l’anno. Grazie al prezioso contributo dei volontari.

“Fratelli e sorelle, da questa città di Trieste, affacciata sull’Europa, crocevia di popoli e culture, terra di frontiera, alimentiamo il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità… E a questa Chiesa triestina vorrei dire: avanti! Avanti! Continuate a impegnarvi in prima linea per diffondere il Vangelo della speranza, specialmente verso coloro che arrivano dalla rotta balcanica e verso tutti coloro che, nel corpo o nello spirito, hanno bisogno di essere incoraggiati e consolati. Impegniamoci insieme: perché riscoprendoci amati dal Padre possiamo vivere come fratelli tutti. Tutti fratelli, con quel sorriso dell’accoglienza e della pace dell’anima” (Francesco, Piazza Unità d’Italia, 7 luglio 2024).

In questa missione di vicinanza e di prossimità è evidente che serve l’apporto di tutti. E gli ambiti sono molteplici: solo così potremo ridare speranza a tante persone oppresse e che il Signore ci affida. Allarghiamo ora lo sguardo su altre persone che come Chiesa vogliamo saper accogliere con il cuore di Cristo. Ma prima alcune proposte pastorali.
- È evidente che serve formazione anche per essere volontari. E la Caritas diocesana è di supporto a tutti, singoli e comunità, per rilanciare la propria testimonianza anche in ambiti che talvolta ci spaventano e per i quali è bene anche organizzarci e aiutarci per meglio saper aiutare.
- Il fondamento del volontariato nello stile e con la gratuità di Gesù, la relazione d’aiuto, la gestione dei gruppi di volontari nelle parrocchie, il servizio nelle strutture diocesane caritative… gli argomenti sono tantissimi. Si tratta di istituire un cammino permanente di formazione e ri-motivazione – in uno stile sinodale, nel quale ciascuno è già portatore di un’esperienza da valorizzare – consapevoli che mai possiamo sentirci del tutto capaci e formati nello stile di Cristo.
- Per questi cammini (sia a livello parrocchiale che decanale) si può contattare il direttore della Caritas p. Giovanni La Manna oppure Vera Pellegrino: direzione@caritastrieste.it verapellegrino@caritastrieste.it

7.3 L’attenzione ai fratelli cattolici di altre lingue rispetto all’italiano e allo sloveno


Dopo l’interruzione dovuta al Covid, come comunità diocesana vogliamo riprendere le attività pastorali con le comunità di lingua straniera e i migranti cattolici a Trieste. Trieste è crocevia di popoli e culture, lingue e religioni differenti. Tanta gente che qui approda, appartiene ad altre lingue ma è di fede cattolica. Anche il nostro presbiterio è assai eterogeneo, di 18 nazionalità diverse.
L’attenzione ai migranti è anche prioritaria attenzione alla cura pastorale e spirituale dei cattolici che qui giungono e che devono vederci attenti alla loro fede. Non intendiamo fare comunità ghettizzate ma essere al servizio dei loro bisogni spirituali. A tutti i cattolici che giungono a Trieste (di ogni persona, di ogni famiglia, di ogni comunità linguistica) vogliamo essere attenti e scorgere le modalità per accompagnarli nell’incontro con Cristo e la sua Parola e i Sacramenti. Se l’obiettivo è il vivere come un’unica grande famiglia – la famiglia di Dio – sappiamo che i processi e le modalità per crescere nella fraternità ecclesiale quando ciascuno ha le sue ferite, le sue tradizioni, le sue nostalgie… non sono determinate a priori ma da inventare guidati dallo Spirito Santo.
Se costitutivamente la Chiesa di Trieste è composta da fedeli di lingua italiana e da fedeli di lingua slovena, da sempre è presente una comunità di lingua tedesca, anche se in questi ultimi tempi si è assottigliata. E poi ci sono cattolici di lingua inglese (oltre ai turisti che poi si aggiungono). Cattolici di lingua croata, di lingua tagalog (filippine), c’è un piccolo gruppo siro-libanese, una piccola comunità pakistana (urdu), e poi tanti fedeli di lingua spagnola. Per tutte queste comunità, in modalità differenziate a seconda delle esigenze di ciascuna, abbiamo iniziato a riflettere come meglio metterci al servizio della crescita della loro fede. La commissione diocesana Migrantes in un’ottica sinodale coordina questo ambito: ma anche qui serve la collaborazione di tutti, anche per individuare le persone che potrebbero essere interessate a pregare nella propria lingua madre. E, sorrette dallo Spirito, altre comunità potrebbero sorgere (es. francese, rumena, albanese…).
La prospettiva non è quella di fare comunità separate, ma di favorire una rete di amicizie e di solidarietà, in cui anche la dimensione religiosa e la cura pastorale diventano determinanti. Io sogno una comunità cristiana di Trieste in cui tutti, quando intercettiamo un cattolico di origine straniera, oltre ad essere accoglienti e solleciti verso le problematiche materiali, sappiamo anche indicargli dove può trovare un prete che parla la sua lingua, con il quale può essere più facile confessarsi o avere un colloquio spirituale. E magari incontrarsi con altri fratelli della stessa provenienza e con loro talvolta pregare e cantare la fede.
Non ci capiti di essere solleciti di fronte ai bisogni materiali (della casa, del lavoro…) ma poi distratti di fronte alle necessità spirituali di chi è cattolico o di altre confessioni cristiane. Anche questa è una deprecabile discriminazione a cui sono soggetti i poveri (cfr. EG 200).
- Cercheremo di valorizzare la Giornata dei migranti anche nella sua dimensione religiosa/spirituale e non solo per il versante caritativo di accoglienza.
- L’Epifania la celebreremo come festa dei popoli, invitando persone di diverse lingue a unirsi nella comune preghiera.
- Ciascuno – preti, religiosi e laici – si senta coinvolto nell’accogliere e sostenere la fede dei cattolici di altre nazionalità e lingue. Se si individuano persone a cui farebbe bene avere contatti con qualche connazionale proprio per meglio vivere la propria fede, magari con l’attenzione a qualche festa patronale o canti o preghiere nelle proprie lingue… per maggiori informazioni consultare il sito della diocesi (che però offre solo alcune indicazioni di iniziative assodate) oppure il Responsabile diocesano di Migrantes don Roy Benas, mail: roybenas@gmail.com

7.4 Il cantiere famiglie ferite


Se tutte le famiglie ci stanno a cuore, se vogliamo prenderci cura di ogni coppia per consolidarla nel sacramento del matrimonio, lo scorso anno periodicamente si è riunito un gruppo di persone per elaborare un accompagnamento anche delle persone e coppie che vivono l’esperienza della separazione, del divorzio, di nuove unioni.
Si è sperimentato, alla luce delle indicazioni offerte dalla dottrina della Chiesa (che giunge fino alla Amoris Lætitia) un confronto che ha portato anche a cercare spunti di riflessione per i presbiteri e le comunità cristiane. Si tratta di proseguire questo cammino anche con delle proposte pastorali.
Anzitutto occorre portare avanti la formazione sia dei presbiteri sia delle intere comunità, a partire dalle persone che maggiormente frequentano. Una formazione che certamente ha degli aspetti dottrinali importanti e che vanno ripresi ma sempre nell’ottica di evangelizzazione e dunque di annuncio di un cammino di fede che rimane aperto a tutti e sempre, in una gradualità che porta le persone a “camminare” come pellegrini di speranza. Talvolta invece si sperimentano ancora chiusure e sospetti che allontanano le persone ancora prima di averle ascoltate. L’accoglienza nel Signore, secondo il suo stile, è il primo compito che tutti dobbiamo imparare sempre di nuovo, senza ridurre questa situazione all’alternativa: sacramenti sì-sacramenti no.
Il cammino con cui i cristiani che vivono la ferita di essere persone separate, divorziate, in nuova unione è assai differenziato perché le storie di vita, le responsabilità personali, l’unicità della persona comportano che ciascuno deve porsi seriamente davanti al Signore e domandarsi: “quale è il bene possibile, la chiamata che oggi il Signore mi rivolge…?”. Occorre però evitare autoreferenzialità pericolose e per questo c’è una scansione di passi che, come presbiteri e comunità, siamo chiamati ad assicurare: accogliere-accompagnare-discernere-integrare. La traccia è quella delineata in Amoris Lætitia.
L’importante è sottolineare che sempre si resta in un cammino (dunque in una dinamica) che mi porta anche domani di nuovo a fermarmi davanti al Signore e alle sue esigenze di amore. Ma sempre illuminato e consolato e fortificato dalla sua grazia.
Di fatto ogni comunità è chiamata a farsi capace di accogliere-accompagnare-discernere-integrare evitando lo sguardo diffidente e giudicante in cui tutti si vorrebbe sapere e giudicare del cammino di fede degli altri, fino a violarne l’intimità personale. Invece occorre gioire se ci sono persone che seriamente si mettono in gioco davanti al Signore, nonostante i peccati, le fatiche e i fallimenti che si sono incontrati nella vita. Non si tratta di buonismo, ma di quella misericordia che attinge dal Signore, dalla sua Parola, dal suo esempio e proprio là dove c’è dolore e peccato ma anche desiderio di Dio, impegno di dare la propria personale risposta.
Di fatto ogni presbitero è abilitato ad accogliere-accompagnare-discernere-integrare e tuttavia con quell’adeguata formazione (dottrinale e spirituale) che impedisce di cadere negli eccessi di un buonismo o di un rigorismo che di fatto abbandonano le persone al posto di accompagnarle e camminare, magari lentamente, magari faticosamente ma anche gioiosamente, alla luce del Vangelo.
Di fatto in diocesi, nelle riflessioni del cantiere sinodale, si sono individuate due comunità nelle quali periodicamente ci si ritrova insieme a pregare attorno alla Parola di Dio: insieme preti, religiosi, coppie sposate, persone vedove e anche persone separate, divorziate, in nuova unione. Vuole essere un segno, un’esperienza del restare tutti in ascolto di Dio, del camminare nello Spirito, nella Chiesa. Poi ci sono incontri di accompagnamento e discernimento il cui esito nessuno può determinarlo in partenza. Ma ringraziamo il Signore che ci sono persone che dentro la loro storia matrimoniale ferita… ci testimoniano il desiderio di Dio che hanno nel cuore, ci mostrano l’umiltà del mettersi in ascolto di Dio, ci ricordano che il peccato esiste e fa male e che solo Dio salva.
- Continueremo nella formazione dei presbiteri e delle comunità sull’accogliere-accompagnare-discernere-integrare sia nei decanati e come ricaduta pure nelle parrocchie.
- Sappiamo che sono poche le persone separate, divorziate e in nuova unione che desiderano fare un serio percorso di fede: molte purtroppo sono nel vortice della secolarizzazione e del riduzionismo della fede a fatto privato. Ma rimane per tutti noi il dovere di proporre questo cammino di fede e di accompagnamento a maggior ragione se qualcuno chiede i sacramenti per i figli e/o partecipa alla vita della comunità.
- Sono state individuate due comunità (Sant’Antonio Taumaturgo e Gesù Divino Operaio) in cui ci si ritroverà a pregare insieme ed esplicitamente anche con persone separate, divorziate e in nuova unione come uno dei tasselli di una Chiesa accogliente e desiderosa di accompagnare. Di fatto il processo dell’accompagnare-discernere-integrare viene fatto con le singole persone (e in certi passaggi con le singole coppie). Ma in queste parrocchie ci saranno presbiteri che esplicitamente sono disponibili per questo ministero.
- A tutte le parrocchie verrà distribuito materiale per informare di questi cammini di accompagnamento.
- Per maggiori informazioni ci si può rivolgere a mons. Roberto Rosa, mail donrobertorosa@gmail.com

7.5 Il cantiere per le persone malate e anziane


Nella prospettiva di una Chiesa attenta alle persone, che le sa accarezzare nelle loro ferite e nelle loro speranze, non può mancare una peculiare attenzione agli anziani e ai malati, tanto più che Trieste è una città con un indice di vecchiaia tra i più alti al mondo.
Basta un po’ di saggezza per riconoscere che nel migliore dei casi tutti diventeremo anziani (chi prima, chi dopo); e che spesso prima o poi si è malati. Sembrano banalità, ma se guardiamo alla solitudine degli anziani, alla fatica di reperire le risorse e le strutture adeguate per migliorare le condizioni di anziani e malati ci si rende conto che ci sono sbarramenti culturali e politici che impediscono una vera solidarietà. Per esempio pensiamo come in Italia solo un terzo dei malati oncologici ha accesso alle terapie contro il dolore, pur avendone bisogno, e solo uno su cinque se allarghiamo lo sguardo a tutti gli altri ammalati.
Come singoli credenti e come comunità cristiana siamo chiamati ad essere in prima linea. Già lo scorso anno abbiamo rilanciato la riflessione e abbiamo fatto alcuni passi.
Di nuovo sollecito ad educare i bambini e ragazzi ad andare a trovare nonni e malati: da piccoli occorre imparare l’attenzione e la gioia delle relazioni, anche quando sono asimmetriche. Per educare a questo occorre che ci siano adulti (genitori, presbiteri, educatori) che vivono questa prossimità nella quale c’è sempre molto da imparare, tutti. Sia nello scambio intergenerazionale sia nello scambio con chi è malato e disabile: ci si rende conto che c’è una ricchezza di vita che affiora solo nelle relazioni personali, quelle vere e concrete, nelle quali anche la fragilità è riconosciuta e della quale occorre superare la vergogna.
Accanto agli ammalti e agli anziani (il Papa talvolta parla di magistero della fragilità) tutti siamo chiamati a riconciliarci con le nostre personali fragilità, che talvolta mistifichiamo e nascondiamo. Ecco la maggiore libertà che siamo chiamati a scoprire: che la nostra vita ha senso anche se non siamo perfetti! Che siamo amati anche se abbiamo limiti e, talvolta, limiti appariscenti. Questa verità di senso fa bene a tutti, anche ai ragazzi, anche agli adulti sani.
Questa attenzione non è delegabile ad altri: tutti abbiamo in famiglia anziani e malati; tutti abbiamo vicini, conoscenti, membri della comunità che sono malati e anziani.
Con tristezza talvolta ho sentito racconti di persone che nella malattia o nella vecchiaia esprimevano il dolore perché amici e parenti si erano allontanati, incapaci di rallentare e condividere un po’ di tempo con chi viveva stagioni faticose.
Mai a sufficienza ripeteremo che anche per anziani e malati serve un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria. Alcune parrocchie hanno potenziato il numero di ministri straordinari della comunione.
Sollecito tutte le comunità ad ampliare questa attenzione: e occorrono pastori con l’odore delle pecore per individuare là dove si può suonare il campanello e proporre i sacramenti; abbiamo bisogno di credenti gioiosi per l’incontro con il Signore perché siano senza timidezza nel proporre al vicino o al conoscente che c’è una Chiesa che arriva tra le case, che ci sono ministri che portano il Sacramento dell’Amore di Cristo e che sanno esprimere la premura di un Dio vicino.
- Ci sono molte case di riposo, piccole e grandi. In tutte cerchiamo di essere presenti come segni dell’amore di Dio. Ciascun operatore sanitario, in forza del proprio battesimo, si senta chiamato a vivere la compassione di Gesù accanto ad ogni malato e anziano. L’Ufficio di pastorale della salute e degli anziani sta cercando di provvedere che in ogni struttura ci siano ministri della comunione che regolarmente siano presenti; e dove è possibile che periodicamente si celebri l’Eucaristia.
- Anche quest’anno si programmerà un corso per preparare nuovi ministri della comunione, come anche per una “formazione permanete”.
- Auspico che in ogni parrocchia, anche con l’ausilio di associazioni e movimenti che hanno il carisma della vicinanza agli ammalati e agli anziani, ci si interroghi su come vivere la prossimità nei confronti delle persone fragili. Girando nelle parrocchie ho visto tentativi belli e coraggiosi. Per es. una parrocchia tutti i mercoledì organizza il pranzo per le persone sole e anziane (mediante dei volontari): un modo per interrompere la monotonia del pranzare sempre da soli. In altre è sorto un gruppo anziani che si trova a fare lavoretti per la pesca di beneficenza, o anche per stare insieme… Benedetta è la fantasia ispirata dal Vangelo!

7.6 Il cantiere delle esequie e dell’annuncio pasquale


“«Credo la vita eterna»: così professa la nostra fede e la speranza cristiana trova in queste parole un cardine fondamentale. Essa, infatti, «è la virtù teologale per la quale desideriamo […] la vita eterna come nostra felicità» (CCC 1817). Il Concilio Ecumenico Vaticano II afferma: «Se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d’oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione» (GS 21). Noi, invece, in virtù della speranza nella quale siamo stati salvati, guardando al tempo che scorre, abbiamo la certezza che la storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un punto cieco o un baratro oscuro, ma sono orientate all’incontro con il Signore della gloria. Viviamo dunque nell’attesa del suo ritorno e nella speranza di vivere per sempre in Lui: è con questo spirito che facciamo nostra la commossa invocazione dei primi cristiani, con la quale termina la Sacra Scrittura: «Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,20)” (Spes non confundit 19).

Di fronte alla morte di una persona cara non ci è consentita nessuna retorica (afferma sempre il Papa). Lo scorso anno abbiamo avviato una riflessione che dovrà dare qualche frutto. Non possiamo accettare che – come mi ha testimoniato un diacono – in due ore, al cimitero, è stato costretto a celebrare 5 funerali di persone sconosciute… Non possiamo accettarlo come preti, come comunità cristiana. Una Chiesa missionaria che vuole stare accanto alle persone deve trovare le energie per condividere i giorni del lutto perché si aprano alla speranza; e perché siano già giorni di comunione tra i fratelli nella fede.
Non possiamo accontentarci nel dire: “qui a Trieste si è sempre fatto così”. Capisco che se l’obitorio è al cimitero ci sono spese maggiori se torniamo a fare il rito delle esequie nelle chiese parrocchiali. Aiutiamoci. In ogni caso anche la prassi attualmente vigente in cimitero va corretta: occorre poter incontrare le persone, trovare spazi di sincera condivisione del dolore e anche perché possiamo annunciare la fede nel Signore Risorto. L’amore vissuto qui sulla terra (quello che ci lega ai nostri defunti e che permane anche dopo la morte) è preludio, presagio di un Amore infinito che mai finisce: l’Amore divino. E in questo Amore, tramite Gesù, il Risorto e tramite il dono dello Spirito, noi siamo già inseriti, anche se spesso ci distraiamo e ci lasciamo prendere da questo capitalismo consumista che annebbia ogni ricerca di senso e di Amore vero e compiuto.
Della vita eterna – che è elemento costitutivo della nostra fede – noi balbettiamo quanto a saperla descrivere. La immaginiamo, come ha fatto Dante, come ha fatto Michelangelo. Anche con i pericoli di scambiare le metafore per definizioni. Noi crediamo la vita eterna! E ringraziamo Gesù che ci ha aperto la via: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6)! E finalmente lo vedremo così come Egli è! E saremo con Lui, e Lui con noi. E finalmente non ci saranno più lacrime, non ci sarà più dolore, non ci sarà più ingiustizia e morte (cf. Ap 21,4).
Celebrare le esequie cristiane è esperienza di annuncio pasquale: che i nostri occhi pieni di lacrime, come quelli della Maddalena al sepolcro (Gv 20,11ss), diventino pieni di gioia. Lui, il Risorto che ci accompagna (anche nella nostra disperazione) e che fatichiamo a riconoscere, finalmente pronuncia il nostro nome e riaccende il nostro cuore.
- Il Cantiere sinodale delle esequie e dell’annuncio pasquale ha lavorato tutto l’anno. Ora occorre raccogliere qualche frutto, anche relazionandoci con le Autorità del cimitero e le Agenzie funebri.
- È evidente che in questo modo ci compromettiamo in una prossimità impegnativa, evangelica. Cioè siamo chiamati a cambiare: i parroci, i vicari parrocchiali e i diaconi sono chiamati ad educare che se appena è possibile è preferibile celebrare il funerale in parrocchia; e sono chiamati a rendersi disponibili a celebrare in cimitero qualora sia questa la scelta della famiglia. Soprattutto occorre maturare una maggiore disponibilità a restare accanto a chi soffre, a condividere il suo dolore, anche se magari non lo si conosce… ma quante volte nei Vangeli vediamo Gesù che sa commuoversi anche di fronte a poveri, malati e peccatori che sono sconosciuti… eppure così amati!
- Il cantiere sinodale sta producendo anche alcuni sussidi liturgici che, soprattutto per le celebrazioni in cimitero, possono aiutare a non essere ripetitivi e monotoni ma a saper annunciare con rinnovato ardore il mistero pasquale.

La formazione permanete dei preti
Tutti questi cantieri hanno in comune una richiesta che deborda su ciascun presbitero: essere capaci di accogliere, accompagnare e sostenere il discernimento delle persone che si incontrano e il serio cammino della loro fede. Che siano giovani nella loro esuberante ricerca di senso o in pacata ricerca vocazionale o persone ferite dalla malattia o dal lutto; che siano giovani che si preparano alla cresima o al matrimonio oppure persone che vivono l’esperienza della separazione o del divorzio o della nuova unione; che siano cattolici di altre nazionalità oppure persone di altre Chiese cristiane; che siano poveri o meno… Gli argomenti sui quali come preti ci si aiuterà nel cammino di formazione permanente verteranno sul crescere nel nostro servizio di pastori che sappiano accompagnare la vita di fede dei fratelli che incontrano.

Conclusioni


Avanti. Avanti.
“Trieste è una di quelle città che hanno la vocazione di far incontrare genti diverse: anzitutto perché è un porto, è un porto importante, e poi perché si trova all’incrocio tra l’Italia, l’Europa centrale e i Balcani. In queste situazioni, la sfida per la comunità ecclesiale e per quella civile è di saper coniugare l’apertura e la stabilità, l’accoglienza e l’identità. E allora mi viene da dire: avete le “carte in regola”. Grazie! Avete le “carte in regola” per affrontare questa sfida! Come cristiani abbiamo il Vangelo, che dà senso e speranza alla nostra vita; e come cittadini avete la Costituzione, “bussola” affidabile per il cammino della democrazia.
E allora, avanti! Avanti. Senza paura, aperti e saldi nei valori umani e cristiani, accoglienti ma senza compromessi sulla dignità umana. Su questo non si gioca” (papa Francesco, Angelus 7 luglio 2024).

Abbiamo le “carte in regola” per affrontare le sfide di questo tempo. E allora rinnoviamo la nostra fede nel Dio di Gesù Cristo, illuminiamo le sorelle e i fratelli con la speranza che ci ha donato, abbracciamo il mondo con la sua carità.

Con Te, Maria di Betlemme,
nell’accogliere tuo Figlio, l’Emmanuele.
Con Te, Maria di Nazaret,
nella carità che ha acceso il cammino di Cristo.
Con Te, Madre degli Apostoli,
nell’ascolto del Maestro, Parola che si è fatta carne.
Con Te, Madre del Popolo di Dio,
nella trama di costruire una comunità di fratelli e sorelle.
Con Te, Pellegrina sul Golgota,
accanto ad ogni cuore trafitto e spezzato.
Con Te, Pellegrina nel Cenacolo,
in docile accoglienza dello Spirito.
Con Te, l’Umile in cui tracima il disegno divino,
nella storia ma in attesa dell’abbraccio compiuto della Pasqua.


+ Enrico, con voi fratello per voi vescovo

Trieste, 11 settembre 2024, memoria del beato don Francesco Bonifacio