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Pellegrinaggio Giubilare degli Adoratori dell’Eucaristia


DIOCESI DI TRIESTE


Pellegrinaggio Giubilare degli Adoratori dell’Eucaristia


✠ Enrico Trevisi


San Giusto, 25 aprile 2025



Cari fratelli e sorelle, dragi bratje in sestre,
amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre

A Pietro e a Giovanni, dopo che hanno guarito lo storpio, pongono la domanda: “Con quale potere o in quale nome voi fate questo?” (Atti 4,1-12)

Di fronte a tanti gesti e parole di papa Francesco, anche poi possiamo chiederci: cosa ci stava dietro il suo agire, il suo pensare? Potremmo interpretare tutto con schemi umani e cercare di cogliere gli assi portanti del suo pensiero, della sua dottrina, del suo agire… ma rischiando di ingabbiarlo in schemi ideologici o addirittura partitici. Tanti lo stanno facendo.

Come gli Apostoli, così anche Francesco potrebbe risponderci, pressappoco così: “Visto che mi interrogate su quanto ho fatto vi dico: è nel nome di Gesù Cristo, il Crocifisso, il Risorto che io agisco e annuncio il Vangelo”.

A me sta a cuore ripetere questo: Francesco era preoccupato di non annacquare il Vangelo che in modo così chiaro e limpido ci mostra un Gesù a fianco dei poveri, a fianco dei peccatori, a fianco di tanta gente affaticata e oppressa. E se talvolta i problemi sono complessi e non risolvibili, lui spingeva ad iniziare processi, faceva qualche battuta che sprigionava luce e indicava un sentiero che con coraggio occorreva perseguire. Talvolta poi magari occorreva rettificare, ma piuttosto che la prigionia della tristezza, della rigidità legalista, meglio un qualche passo a fianco con chi soffre, meglio uno smuovere i cuori alla tenerezza e alla compassione. Anche rischiando qualche scompiglio.

Nel Vangelo (Gv 21,1-14) troviamo un Pietro che seguito dagli apostoli sembra essere tornato alla vecchia professione: fare il pescatore. Si badi bene (come annota papa Francesco nella Desiderio desideravi n 7) sono tornati a pescare pesce e non uomini. Sembrano ormai rassegnati. Gesù è stata una bella parentesi. Una bella speranza rivelatasi illusione. È morto in croce. Ecco che si tornare alla vecchia professione.
Come i due delusi discepoli di Emmaus riconobbero Gesù nel momento dello spezzare il pane, così anche sul mare di Tiberiade Gesù appare nel mezzo del fallimento umano: ancora una volta non hanno pescato nulla. Al di là delle nostre competenze e buone intenzioni e fatiche immani, talvolta sperimentiamo la nostra inadeguatezza. Ed ecco che Gesù chiede di insistere a pescare, anche quando la speranza umana e professionale ormai era cessata. Si fa riconoscere (attenzione, non tutti lo riconoscono subito: ma c’è sempre qualcuno che ci aiuta ad aprire gli occhi). E Lui ha già preparato la santa cena.

Se nel racconto i pesci hanno un posto importante (e 153 secondo alcuni antichi autori rimanda alla tavola dei popoli, all’insieme di tutti i popoli della terra che sono i destinatari della pesca, dell’azione degli apostoli) qui mi piace sottolineare che Gesù ha preparato un pane e lo distribuisce. Il pane che rimanda al suo corpo offerto e il pesce che dice di una missione rivolta a tutti i popoli, a tutte le persone, nessuna esclusa.
Chiaro è il riferimento all’eucarestia come all’anima della missione, come alla fonte da cui scaturisce la speranza e il coraggio della missione.
In mezzo a noi ci sono tante persone che si alternano in turni e mantengono aperta una cappella dell’adorazione perpetua: giorno e notte, 24 ore su 24 ad adorare il mistero dell’eucarestia: un pane spezzato che ci ripresenta il mistero dell’amore di Dio per ciascuno di noi. Un mistero che ci cambia la vita.

Una volta papa Francesco confidò (19-06-2023):

Gesù parlò di sé come del Pane vivo disceso dal cielo, del vero Pane che dà la vita al mondo (cfr Gv 6,51). Stamattina, mentre celebravo l’Eucaristia, ho pensato tanto a questo, perché è quello che ci dà la vita. L’Eucaristia infatti, è la risposta di Dio alla fame più profonda del cuore umano, alla fame di vita vera: in essa Cristo stesso è realmente in mezzo a noi per nutrirci, consolarci e sostenerci nel cammino. Purtroppo, al giorno d’oggi, a volte tra i nostri fedeli qualcuno crede che l’Eucaristia sia più un simbolo che la reale e amorevole presenza del Signore.
E poi continuò a chiedere di “recuperare il senso di meraviglia e di stupore per questo grande dono che il Signore ci ha fatto, e a trascorrere del tempo con Lui nella celebrazione della Santa Messa, così come nella preghiera personale e nell’adorazione del Santissimo Sacramento. Credo che noi in questo tempo moderno abbiamo perso il senso dell’adorazione. Dobbiamo riprendere il senso di adorare in silenzio, adorare”.

Poi sappiamo che papa Francesco rifiutava riduzionismi spiritualistici e intimistici: dall’eucarestia occorre impegnarci per una fraternità che non è una mera promozione sociale, priva di fondamento religioso. Perché vorrebbe dire che diamo all’uomo “meno di quello che Dio vuole dargli” (Dilexit nos 205). Non si tratta di rispondere solo ai bisogni umani della fame e della salute… lo vediamo nel nostro mondo secolarizzato: quanta solitudine, quanta disperazione, quanto disagio psichico…

Tutte cifre che dicono: quanto bisogno di senso, quanto bisogno di amore vero, di luce interiore, di speranza che autorizza a vedere la propria vita e quella degli altri come una benedizione, sempre.

Ma ridiamo la parola a papa Francesco (commenta Lc 9,19ss):

«Tutti mangiarono», scrive San Luca. Sul far della sera i discepoli consigliano a Gesù di congedare la folla, perché possa andare a cercare il cibo. Ma il Maestro vuole provvedere anche a questo: a chi lo ha ascoltato vuole dare pure da mangiare. Il miracolo dei pani e dei pesci non avviene però in maniera spettacolare, ma quasi riservatamente, come alle nozze di Cana: il pane aumenta passando di mano in mano. E mentre mangia, la folla si rende conto che Gesù si prende cura di tutto…
Talvolta c’è il rischio di confinare l’Eucaristia in una dimensione vaga, lontana, magari luminosa e profumata di incenso, ma lontana dalle strettoie del quotidiano. In realtà, il Signore prende a cuore tutti i nostri bisogni, a partire da quelli più elementari. E vuole dare l’esempio ai discepoli, dicendo: «Voi stessi date loro da mangiare» (v. 13), a quella gente che lo aveva ascoltato durante la giornata. La nostra adorazione eucaristica trova la sua verifica quando ci prendiamo cura del prossimo, come fa Gesù: attorno a noi c’è fame di cibo, ma anche di compagnia, c’è fame di consolazione, di amicizia, di buonumore, c’è fame di attenzione, c’è fame di essere evangelizzati. Questo troviamo nel Pane eucaristico: l’attenzione di Cristo alle nostre necessità, e l’invito a fare altrettanto verso chi ci è accanto. Bisogna mangiare e dare da mangiare.
Oltre il mangiare, però, non deve mancare l’essere saziati. La folla si saziò per l’abbondanza di cibo, e anche per la gioia e lo stupore di averlo ricevuto da Gesù! Abbiamo certo bisogno di alimentarci, ma anche di essere saziati, di sapere cioè che il nutrimento ci venga dato per amore. Nel Corpo e nel Sangue di Cristo troviamo la sua presenza, la sua vita donata per ognuno di noi. Non ci dà solo l’aiuto per andare avanti, ma ci dà sé stesso: si fa nostro compagno di viaggio, entra nelle nostre vicende, visita le nostre solitudini, ridando senso ed entusiasmo. (Angelus Corus Domini 19-6-2022).

Nel contemplare l’eucarestia io faccio esperienza di Gesù che mi si fa a fianco, mi rialza dalle mie stanchezze e delusioni, cura le mie ferite. Mi incoraggia a riprendere il cammino. Lo fa con me perché io riparta come pellegrino di speranza nella mia missione, nella mia professione, nel mio lavoro, nella mia famiglia.