DIOCESI DI TRIESTE
MESSAGGIO PER LA QUARESIMA 2021
LA TENDA DI DIO
✠ Giampaolo Crepaldi
Arcivescovo-Vescovo di Trieste
Carissimi presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, fedeli laici della Chiesa di Trieste: “grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (1Cor 1,3)!
Quaresima di conversione
1. Con il Mercoledì delle Ceneri entriamo nel tempo liturgico della Quaresima, istituito dalla Chiesa per prepararci alla Pasqua: assidui nella preghiera e nella carità operosa, siamo chiamati a percorrere la strada della purificazione per attingere con abbondanza alla vita nuova in Cristo Signore (cf. Prefazio I di Quaresima). Sappiamo bene che questa vita ci è già stata donata nel giorno del nostro Battesimo, quando siamo divenuti partecipi della morte e risurrezione del Cristo: là prese avvio l’avventura, impegnativa e gioiosa, del nostro essere cristiani; là prese avvio il nostro incontro con Cristo che dà forma a tutta la nostra esistenza e ci dona la vita divina. San Paolo, nella sua Lettera ai Filippesi, ne parla in questi termini: “perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti” (Fil 3,10-11). Si tratta allora di morire al nostro peccato per risuscitare con Cristo alla vera vita: “In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). In questo tempo quaresimale il Signore Risorto ci chiama a riscoprire la nostra identità battesimale, cioè a rinascere nuovamente dall’alto, cioè dall’amore di Dio (cf. Gv 3,3).
2. La Quaresima è un tempo privilegiato per intensificare il percorso della nostra conversione. Si tratta di abbandonare tutto quello che ci porta lontano da Dio, attraverso l’esercizio ascetico del digiuno, dell’elemosina e della preghiera che la Chiesa ci indica per questo tempo. Prima di tutto il digiuno: esso ci chiede di rendere più povera la nostra mensa per coltivare la condivisione, riconoscendo Dio nei volti di tanti fratelli e sorelle. Esso fa sì che l’amore per Dio sia anche amore per il prossimo (cf. Mc 12,31). Poi l’elemosina, cioè la capacità di donare. Essa ci libera dalla tentazione di essere come il ricco della parabola che, sbagliando i suoi calcoli, pensava: “Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni…”. Conosciamo anche quello che pensava il Signore: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita…” (Lc 12,19-20). In fine la preghiera: con essa dedichiamo tempo a Dio, per conoscere che “le sue parole non passeranno” (cf. Mc 13,31), per entrare in quell’intima comunione con Lui “che nessuno potrà toglierci” (cf. Gv 16,22) e che ci apre alla speranza che non delude, cioè alla vita eterna.
Quaresima e tante domande
3. Come la Quaresima del 2020 anche quella di quest’anno dobbiamo viverla affrontando la situazione di pandemia da COVID-19 che ci affligge duramente, facendoci sentire soli, spauriti, indifesi, in balia di un tempo di confusione sociale e sanitaria, di un tempo in cui lo stato di emergenza sembra essere diventato la normalità. In questa singolare condizione spirituale e psicologica molti di noi si chiedono: Dio dov’è? Dio ci ha abbandonato? C’è qualcosa o qualcuno che ci assicuri che Lui è presente comunque tra noi ed è con noi? Come è capitato in altre epoche tragiche della storia, ci sentiamo abbandonati. Eppure, ci hanno insegnato che Dio non permette che il buio dell’orrore spadroneggi. A questo proposito, San Giovanni Paolo II scrisse che c’è un “limite divino imposto al male” (Memoria e identità, 29 ss). Ci hanno insegnato che, anche nella “valle oscura” di cui parla il Salmista (cf. Sal 23,4), Dio ci custodisce e ci sostiene e ascolta sempre il nostro grido di aiuto.
4. A fronte di queste laceranti domande e considerazioni, sono a proporvi di pregare spesso in questo tempo di Quaresima i versetti conclusivi del salmo 44 che qui riporto: “Svegliati! Perché dormi, Signore? Destati, non respingerci per sempre! Perché nascondi il tuo volto,dimentichi la nostra miseria e oppressione?La nostra gola è immersa nella polvere,il nostro ventre è incollato al suolo.Àlzati, vieni in nostro aiuto!Salvaci per la tua misericordia!” (vv. 24-27). Un testo pieno di mestizia, ma anche di speranza nell’aiuto di Dio e nel suo intervento nella nostra storia. Dio conosce la nostra fragilità e ha scelto di salvarci dentro di essa, non malgrado essa. Ecco perché le parole del salmo, dovrebbero risuonare sempre nei nostri cuori come preghiera costante al Padre perché non ci abbandoni in questo tempo di crisi e di prova. In simile orizzonte tematico e spirituale si colloca il mio Messaggio per la Quaresima 2021 che ha come titolo La tenda di Dio, per indicare che Lui vive con noi e per noi, che ci consola e ci salva.
Nel caos il sì di Dio
5. Nella Sacra Scrittura troviamo molti testi in cui si racconta il collegamento tra l’esperienza di crisi e di prova che investe il popolo e la presenza fedele e misericordiosa di Dio. Un esempio è quello riferito alla tragedia dell’esilio del popolo ebraico costretto ad abbandonare la propria terra per Babilonia, una tragedia in cui vengono meno le prospettive di vita e crollano le speranze: la patria devastata e occupata dai nemici, il tempio stesso, luogo della presenza di Dio, ridotto a un cumulo di macerie. Uno scenario da incubo dominato da un caos generale, dove anche Dio sembrava avesse nascosto il suo volto. Eppure proprio in quello scenario tanto sconfortante, sorsero di mezzo al popolo alcuni sapienti – di cui non conosciamo i nomi, ma conosciamo gli scritti – che suggerirono agli uomini del loro tempo di andare oltre il dato negativo e il caos che stavano condizionando la loro vita, dando invece un’opportunità a Dio. Spiegavano che anche in mezzo al deserto possono crescere spazi di speranza e di vita, perché – questo fu il ragionamento degli autori biblici – Dio desidera abitare presso gli uomini e impiantare la sua tenda in mezzo al caos umano.
6. Proprio in quel doloroso contesto storico, questi scrittori, saggi e lungimiranti, offrirono al popolo un testo, ancora oggi conosciutissimo e fondamentale, che troviamo nel primo libro della Bibbia, la Genesi. Si tratta del racconto della creazione (cf. Gen 1,1-2,4a). Dio, con l’azione della sua parola potente e generatrice di vita, dal caos invivibile (cf. Gen 1,2) crea uno spazio ordinato e adatto alla vita. Si legge nel racconto, infatti, che ad ogni creatura, ad ogni essere vivente viene assegnato il proprio ambiente vitale (cf. Gen 1,3-31). La creazione dell’uomo e della donna rappresenta poi il vertice del racconto della creazione (cf. Gen 1,26-31). Con quel Facciamo l’uomo, Dio gli dice: Io ti ho voluto, sulla tua vita opera un grande Sì, il Mio. È il Sì di Dio, fin dal principio e per sempre e per tutti, uomini e donne. Non solo: che l’uomo sia creato ad immagine di Dio significa che attraverso di lui Dio vuole essere presente nel mondo; che con lui Dio opera in un modo speciale nella creazione e nella storia. L’uomo è, per così dire, la presenza di Dio nella creazione e nella storia, il luogo in cui Dio, la creazione e la storia sono in relazione.
7. Al racconto della creazione, il libro della Genesi accosta due altri racconti, quello del peccato originale di Adamo ed Eva e quello del diluvio universale. Possiamo dire che in questi due racconti viene presentato l’uomo che tradisce la sua chiamata ad essere immagine di Dio. Purtroppo, questa è, spesso, la realtà dell’uomo. I grandi racconti della creazione, del peccato e del diluvio universale non rappresentano un prima e un dopo, ma mostrano bensì il mondo, così com’è stato pensato da Dio (l’uomo a sua immagine) e così come viene ripetutamente ridotto dall’uomo (l’immagine tradita). All’immagine reale del mondo – il peccato originale e il diluvio come esperienze del caos: “Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra” (Gen 6,5) – viene contrapposta l’immagine ideale del mondo voluto da Dio: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,31). La Scrittura ci dice che il mondo è contraddittorio: da una parte viene scosso dalla distruzione e dal caos, ma, nello stesso tempo, è realizzato in modo tale da poter accogliere la presenza ordinatrice e vivificante di Dio.
La tenda di Dio tra gli uomini
8. Un altro stimolante esempio biblico della presenza di Dio in una situazione di crisi la troviamo nel libro dell’Esodo dove si racconta la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù dell’Egitto. Partiamo, interrogandoci su come risponde la Bibbia alla seguente domanda: dove abita Dio? In prima battuta essa ci dice che la dimora di Dio è nei cieli (cf. 1Re 8,30-49). Ma, nello stesso tempo, ci dice che Egli è presente dappertutto nella sua creazione: “Dove andare lontano dal tuo spirito? Dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra” (Sal 139,7-10). Inoltre, la Bibbia ci informa che Dio, lungo il tempo della sua rivelazione, ha anche scelto alcuni luoghi per essere adorato e per farvi abitare il suo nome (cf. Dt 12,5,11; 16,2-6) e la sua gloria (cf. Es 29,42-43) in mezzo al suo popolo. In particolare, proprio durante l’epopea dell’esodo del popolo ebraico dalla schiavitù dell’Egitto verso la libertà della Terra Promessa, in pieno deserto, la dimora di Dio in mezzo al suo popolo – in ebraico la shekinah – era rappresentata da una tenda – il tabernacolo – che conteneva l’arca dell’Alleanza, una cassa contenente a sua volta le tavole della Legge. Quella tenda, che accompagnava il popolo nel deserto, indicava la presenza di Dio che guidava Israele nel suo peregrinare.
9. Fermiamoci ora a considerare alcuni aspetti di quell’epica attraversata del popolo nel deserto, interessanti per cogliere in pienezza il senso profondo di quella tenda che era segno della presenza di Dio. La Bibbia ce li illustra nei capitoli dal 19 al 40 del libro dell’Esodo. Dopo gli avvenimenti della liberazione dal potere del faraone (cf. Es 1-15), passando attraverso il deserto (cf. Es 15-18), il popolo di Israele raggiunge il monte Sinai (cf. Es 19ss). Per sei giorni non succede nulla: il monte resta coperto da una nuvola e Dio appare come l’indisponibile e l’inavvicinabile. Lo scenario cambia il settimo giorno: Mosè sale sul monte, entra nella nuvola, sperimenta il Dio presente, mentre lo splendore di Dio si mostra a tutto il popolo: “Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte. La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube. La gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna. Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti” (Es 24,15-18). Israele prende parte alla gloria di Dio. Tutto questo avviene il settimo giorno che richiama un altro settimo giorno, quello, secondo Gen 2,1-4, nel quale il mondo è compiuto da Dio.
10. Chiediamoci ancora: cosa capita sul monte Sinai? Capita che Mosè contempla il Santuario celeste, la dimora di Dio in cielo. Capita che quella contemplazione si traduce in una vocazione e in una missione perché Dio vuole che quel Santuario celeste venga costruito sulla terra: “Il Signore parlò a Mosè dicendo: Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro.Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo il modello della Dimora e il modello di tutti i suoi arredi” (Es 25, 1.8-9). Ancora: “Darò convegno agli Israeliti in questo luogo, che sarà consacrato dalla mia gloria. Consacrerò la tenda del convegno e l’altare. Consacrerò anche Aronne e i suoi figli, perché esercitino il sacerdozio per me. Abiterò in mezzo agli Israeliti e sarò il loro Dio. Sapranno che io sono il Signore, loro Dio, che li ho fatti uscire dalla terra d’Egitto, per abitare in mezzo a loro, io il Signore, loro Dio” (Es 29,43-46). La tenda è sacra, è la tenda dell’incontro tra Dio e il suo popolo, è la tenda abitata dalla forza vivificante della presenza divina. La presenza di Dio in mezzo al suo popolo conduce il popolo ebraico ad una percezione nuova della sua vocazione e della sua missione. Dio vuole abitare sulla terra, così come abita in cielo. Il popolo d’Israele deve essere la sua tenda per essere presente in mezzo ad esso e, attraverso di esso, nel mondo.
11. La Bibbia ci suggerisce un’ultima riflessione: la storia della salvezza di Israele dalla schiavitù dell’Egitto e l’intera storia della creazione tendono a questo: preparare a Dio una dimora. Dove Dio è presente, la realtà della creazione e quella della salvezza si incontrano rinviando l’una all’altra: “Così Mosè terminò l’opera.Allora la nube coprì la tenda del convegno e la gloria del Signore riempì la Dimora.Mosè non poté entrare nella tenda del convegno, perché la nube sostava su di essa e la gloria del Signore riempiva la Dimora” (Es 40,33b-35). La vocazione e la missione del popolo di Israele nel mondo e per il mondo consiste nel custodire e coltivare la presenza di Dio. Tale opera non è limitata alle celebrazioni del sabato, ma abbraccia tutta la vita. Anche la vita quotidiana, con i suoi ritmi spesso non lineari, dev’essere piena di questa presenza divina: “Per tutto il tempo del loro viaggio, quando la nube s’innalzava e lasciava la Dimora, gli Israeliti levavano le tende. Se la nube non si innalzava, essi non partivano, finché non si fosse innalzata” (Es 40,36-37). Tutta la vita dei singoli e del popolo nella loro quotidianità consisteva in una speciale attenzione data alla presenza divina: tutto, dai tempi di riposo a quelli dell’attività e della riflessione, è determinato a partire dalla presenza di Dio. Essa forgia il ritmo vitale del popolo di Dio. Questo ante omnia di un amore vigilante per la presenza di Dio è costitutivo per il cammino di Israele attraverso i tempi e resta esemplare anche per il cammino della Chiesa oggi.
La tenda di Dio: Cristo, la Chiesa, i cristiani
12. Nella considerazione del tema della tenda di Dio, sempre attenti a quanto ci comunica la Sacra Scrittura, dobbiamo fare un ulteriore passo che ci aprirà scenari che ci toccano personalmente. Prima però è bene fare una breve premessa storica. Quando il popolo ebraico, dopo la traversata nel deserto, arrivò alla Terra Promessa, da nomade che era si fece sedentario, abitando non più in tende ma in case di pietra. Ritenne allora di dover dare una dimora stabile anche al suo Dio. Non fu una scelta tranquilla, ma, in sintesi, andò così. Il re Davide trasferì l’arca sul monte Sion, a Gerusalemme; il monte Sion divenne la nuova dimora di Dio; suo figlio Salomone, su quel monte, costruì il tempio; il Dio d’Israele ebbe una dimora stabile in mezzo al suo popolo. Gerusalemme divenne così la città di Dio, dalla quale Egli regnava sul popolo attraverso il governo dei Re e il ministero dei Sacerdoti. Tutto bene? No, perché la Bibbia ci informa che la classe sacerdotale cominciò a corrompersi, i re a dedicarsi ai propri interessi, il popolo a lasciarsi irretire dal fascino degli dei delle popolazioni vicine, tradendo il patto di fedeltà con Dio. Così, come i sapienti al tempo dell’esilio di Babilonia, alcuni profeti ispirati da Dio – soprattutto Amos, Osea e Isaia – iniziarono a preannunciare la distruzione d’Israele e a profetizzare la venuta di un Re-Messia, attraverso il quale Dio avrebbe continuato la sua presenza tra il popolo.
13. È questo Messia a rappresentare la nuova tenda di Dio sulla terra. Per noi cristiani è Gesù di Nazareth il Messia atteso, è Lui la nuova tenda di Dio. Non più un tempio, ma una persona diventa la dimora di Dio sulla terra. A questo riguardo, scrisse San Giovanni nel Prologo del suo Vangelo: “E il Verbo (cioè la Parola di Dio, che è Cristo) si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Da qui, sempre nel Vangelo di Giovanni, si dispiega, in ampiezza e profondità, una singolare riflessione sulla centralità di Gesù Verbo incarnato. Egli è il compimento della fede e delle realtà salvifiche dell’Antico Testamento. Tutti i popoli sono invitati ad andare a Lui, a credere in Lui attraverso le opere che Egli compie, a scoprire nella sua realtà umana il Messia atteso, il Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo; a dare credito alla sua Parola e a mangiare il suo corpo e a bere il suo sangue nella santa Eucaristia per avere la vita e la risurrezione nell’ultimo giorno. Cristo è la Porta, il mediatore unico della salvezza; è il Pastore che dà la vita per le sue pecore e ha con loro uno strettissimo rapporto personale; è la Vite vera e chi resta in Lui porta frutto; è la nuova Tenda e il nuovo Tempio dove abita Dio. I discepoli sono chiamati a seguire l’esempio del loro Maestro e Signore attraverso l’amore vicendevole, esempio che Gesù ha dato lavando loro i piedi, gesto simbolico del dono della sua vita per la loro salvezza.
14. La testimonianza dell’evangelista Giovanni desidero collegarla con la testimonianza di un altro Giovanni, San Giovanni Paolo II, Papa dal 1978 al 2005, che nella domenica 22 ottobre 1978, sul sagrato di Piazza San Pietro, diede inizio al suo ministero petrino con le seguenti parole: “Fratelli e sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà!… Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!”. E concluse: “Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna”. Con il suo richiamo alla centralità del Cristo Signore, il nuovo Papa diede a tutti un messaggio di sicurezza, di fiducia, di audacia. In quella mattina mite dell’ottobre romano, al termine della celebrazione il Pontefice impugnò con tutte e due le mani la croce pastorale, innalzandola come un vessillo riscattato, come il segnale che chiamava a raccolta in Cristo – la tenda di Dio in terra – tutto il Popolo di Dio.
15. Collegata a Cristo da un vincolo sponsale, anche la Chiesa è tenda di Dio. San Paolo, facendo riferimento a Lv 26,1, in 2Cor 6,16 sottolinea che la comunità dei credenti in Cristo è tempio del Dio vivente. La parola di Cristo abita in mezzo alla comunità dei credenti (cf. Col 3,17): in loro abita lo Spirito di Dio (cf. Rm 8, 9.11; 1Cor 3,16; 2Tit 1,14); Cristo stesso abita nel loro cuore (cf. Ef 3,17). Il libro dell’Apocalisse ci presenta il traguardo finale: “Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,3-4). La Chiesa, infatti, poggia su Cristo, è sostenuta da Lui e non può essere da Lui separata. Egli è l’unico fondamento di ogni comunità cristiana, la pietra viva, rigettata dai costruttori, ma scelta e preziosa agli occhi di Dio come pietra angolare (cf. 1Pt 2,4-5.7). Con Lui anche noi siamo pietre vive costruite come edificio spirituale, luogo di dimora per Dio (cf. Ef 2,20-22; 1Pt 2,5). Sant’Agostino si riferiva al mistero della Chiesa come al Christus totus, il Cristo intero, il pieno e completo Corpo di Cristo, Capo e membra. Questa è la realtà della Chiesa; essa è Cristo e noi, Cristo con noi. Egli è con noi come la vite è con i suoi tralci (cf. Gv 15,1-8). La Chiesa in Cristo è una comunità di vita nuova, una dinamica realtà di grazia che promana da Lui. Attraverso la Chiesa Cristo purifica i nostri cuori, illumina le nostre menti, ci unisce con il Padre e, nell’unico Spirito, ci conduce ad un quotidiano esercizio di amore cristiano.
16. Gesù ci ha anche annunciato che, attraverso di lui, Dio vuole venire a dimorare anche in noi. Se Cristo è la shekinah di Dio (la dimora di Dio), chi accoglie Cristo nella propria vita e segue la sua parola diventa egli stesso dimora di Dio. Gesù infatti, prima di separarsi fisicamente dai suoi discepoli ed andare incontro alla sua passione, morte e resurrezione, disse loro: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Ciascuno di noi è chiamato ad essere tenda di Dio. L’Apostolo Paolo scrisse infatti ai Corinzi: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (1Cor 3,16). “Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente” (2Cor 6,16). Il Signore poi vuole abitare non soltanto dentro di noi ma anche in mezzo a noi. Gesù infatti disse ai suoi discepoli: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). Come credenti, riuniti nel nome di Cristo, formiamo insieme la casa di Dio che è la Chiesa.
17. Il Signore, oltre ad abitare dentro di noi e in mezzo a noi, abita anche accanto a noi, nel nostro prossimo e, soprattutto, nei più deboli e bisognosi nei quali Gesù stesso si è identificato, dicendo: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Gli ammalati, i poveri e gli emarginati sono le tende nelle quali incontrare Dio su questa terra. Anche loro sono luoghi sacri da visitare perché Dio, in Cristo, ha scelto di abitare in loro. Dove abita Dio? Egli abita in Cristo e, per mezzo di Lui, viene ad abitare dentro di noi. Accogliamolo nei nostri cuori, in mezzo a noi nella comunione fraterna, di fronte a noi negli occhi del nostro prossimo: è in questa triplice dimensione fatta di fede, amore e servizio, che possiamo e dobbiamo incontrarlo, soprattutto in questo tempo di pandemia con il peso gravoso dei suoi tanti morti e numerosissimi malati, ma anche con l’esemplare dedizione degli operatori sanitari e di tanti volontari dal cuore buono.
Stare con Dio nella sua tenda
18. Dopo questa manciata di riflessioni sulla tenda di Dio, sulla sua presenza tra noi, come vivere il tempo della Quaresima in questo difficile periodo di pandemia da COVID-19? Con la paura? Con l’angoscia? Con la consapevolezza di essere finiti in mezzo a un caos inestricabile? Dubitando di Dio? Se le riflessioni precedenti sulla tenda di Dio, sulla sua amorosa presenza, hanno suscitato in voi un briciolo di fiducia e speranza, vi prego di fare tesoro di queste illuminanti parole di Papa Francesco: “Che cosa fare durante la crisi? Innanzitutto, accettarla come un tempo di grazia donatoci per capire la volontà di Dio su ciascuno di noi e per la Chiesa tutta. Occorre entrare nella logica apparentemente contraddittoria che «quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10). Si deve ricordare l’assicurazione data da San Paolo ai Corinzi: «Dio è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere» (1Cor 10,13). Fondamentale è non interrompere il dialogo con Dio, anche se è faticoso. Pregare non è facile. Non dobbiamo stancarci di pregare sempre (cf. Lc 21,36; 1Ts 5,17). Non conosciamo alcun’altra soluzione ai problemi che stiamo vivendo, se non quella di pregare di più e, nello stesso tempo, fare tutto quanto ci è possibile con più fiducia. La preghiera ci permetterà di sperare contro ogni speranza” (cf. Rm 4,18)” (Discorso alla Curia, 21 dicembre 2020). L’invito del Papa ci deve trovare disponibili ad accogliere le sapienti indicazioni della Chiesa per il tempo quaresimale che ci sollecitano a pregare la Via Crucis, a dedicare un po’ del nostro tempo per gli Esercizi spirituali, a predisporci per il sacramento della Confessione, ad adorare il Signore nelle 24 ore…
19. In questa prospettiva, la Quaresima può essere un tempo prezioso per credere, per sperare e per amare, in definitiva, per stare con Dio nella sua tenda. Facciamo tesoro ancora di quanto ci propone Papa Francesco. Prima di tutto l’invito a credere: “La Quaresima è un tempo per credere, ovvero per ricevere Dio nella nostra vita e consentirgli di “prendere dimora” presso di noi (cfr Gv 14,23). Digiunare vuol dire liberare la nostra esistenza da quanto la ingombra, anche dalla saturazione di informazioni – vere o false – e prodotti di consumo, per aprire le porte del nostro cuore a Colui che viene a noi povero di tutto, ma «pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14): il Figlio del Dio Salvatore”. Poi l’invito a sperare: “Vivere una Quaresima con speranza vuol dire sentire di essere, in Gesù Cristo, testimoni del tempo nuovo, in cui Dio “fa nuove tutte le cose” (cfr Ap 21,1-6). Significa ricevere la speranza di Cristo che dà la sua vita sulla croce e che Dio risuscita il terzo giorno, «pronti sempre a rispondere a chiunque [ci] domandi ragione della speranza che è in [noi]» (1Pt 3,15)”. Per ultimo l’invito alla carità: “Vivere una Quaresima di carità vuol dire prendersi cura di chi si trova in condizioni di sofferenza, abbandono o angoscia a causa della pandemia di Covid-19. Nel contesto di grande incertezza sul domani, ricordandoci della parola rivolta da Dio al suo Servo: “Non temere, perché ti ho riscattato” (Is 43,1), offriamo con la nostra carità una parola di fiducia, e facciamo sentire all’altro che Dio lo ama come un figlio”.
Con Maria nella tenda di Dio
20. Vogliamo ora rivolgere il nostro sguardo alla Vergine Maria: anche Lei tenda di Dio. Nell’ora decisiva della storia umana, infatti, ha offerto a Dio se stessa, il suo corpo e la sua anima, come sua dimora. Tutto in lei fu nel segno della povertà e della semplicità: era una donna, abitante in un paesino sconosciuto e periferico e non era ancora nemmeno sposata, ma in lei, nella sua vita era presente Dio: il Signore è con te. Quando nella Bibbia Dio dice a qualcuno io sono con te gli sta consegnando un futuro bellissimo, che lo convoca a diventare partner della storia più grande. Così fu per la Madonna: in lei e da lei il Figlio di Dio assunse la carne umana. Per mezzo di lei la Parola si è fatta carne (cf. Gv 1,14). Preghiamo allora Maria di guidarci con materna sollecitudine nel tempo della Quaresima verso la tenda del Signore Gesù. Andiamo verso quella tenda accompagnati da San Giuseppe, custode di Maria e di Gesù, in questo Anno speciale che il Santo Padre Francesco ha voluto che sia dedicato alla sua santa persona. Forti della sua intercessione, imploriamo Maria di aiutarci a fare spazio al Signore Gesù, perché dentro di noi e per mezzo di noi Lui possa anche oggi farsi carne e piantare la sua tenda tra gli uomini; di aiutarci a non nascondere la luce del Vangelo sotto il moggio della nostra poca fede; di aiutarci ad essere luce per il mondo, perché gli uomini possano vedere il bene e rendere gloria al Padre che è nei cieli (cf. Mt 5,14-16).