Cattedrale di San Giusto, 15 luglio 2020
✠ Giampaolo Crepaldi
Eccellenza Reverendissima, Sig. Presidente, Sig. Sindaco, distinte Autorità, carissimi fratelli e sorelle!
1. Sono lieto di accogliervi nella nostra Cattedrale di San Giusto per onorare con un momento di attenzione, orante e affettuosa, le vittime del Covid-19. A questo scopo, la Diocesi, in collaborazione con l’Associazione musicale Aurora Ensemble e con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, ha ritenuto opportuno offrire alla nostra Città di Trieste l’esecuzione dell’opera musicale di Franz Joseph Haydn intitolata Le sette ultime parole del Redentore sulla Croce nell’intento di associare i nostri morti alla morte del Signore Gesù. Con questo concerto, inoltre, vogliamo condividere, con una partecipazione densa di affetto, di vicinanza, di cordoglio, le lacrime dei loro familiari e amici che, in molti casi, non hanno potuto dare l’ultimo saluto ai loro cari. Alcuni mesi fa, durante un’udienza in Piazza San Pietro, Papa Francesco ricordava che “quando Cristo ha pianto ed è stato capace di piangere, ha capito i nostri drammi”. Da qui, – ha continuato – ne deriva che “certe realtà si vedono soltanto con gli occhi puliti dalle lacrime”.
2. Cari amici, da sempre la tradizione cristiana, soprattutto quella popolare e monastica, ha fatto delle ultime sette parole dette dal Signore sulla croce un tema di meditazione e di preghiera. Fino a tempi non lontani, il popolo cristiano si riuniva il venerdì santo nelle chiese dalle dodici alle quindici per meditare le ultime parole di Gesù, guidato da altrettanti commenti a ciascuna di esse. Anche l’origine dell’opera di Haydn è stata questa. Le ultime sette parole, nel loro insieme, compongono come l’ultimo grande discorso che il Redentore ci ha rivolto. La chiave di volta di questo divino discorso, il suo centro unificante, è costituito dalla carità che spinse il Cristo al dono di se stesso sulla Croce. L’opera di Franz Joseph Haydn, con una Introduzione e una Conclusione, si snoda con l’esecuzione di sette Sonate. Ognuna di queste sette Sonate sarà introdotta da due lettori che rispettivamente leggeranno prima il brano del Vangelo corrispondente alla Sonata e poi una preghiera che ho composto io sul brano del Vangelo. Ringrazio di cuore l’Orchestra da Camera del Friuli Venezia Giulia, diretta dal Maestro Romolo Gessi, i due lettori e tutti voi che avete accolto l’invito a partecipare a questo momento di ascolto, di meditazione e di preghiera. Il senso dell’esperienza che ora vivremo è proprio quello di percorrere un itinerario – quello proprio del discorso musicale – che ci introduca dentro al mysterium Crucis, mistero in cui contemplare la morte in Croce del Signore ma anche la morte da Covid/19 di tanti fratelli e sorelle, mistero in cui intravedere, con gli occhi puliti dalle lacrime, l’alba di giorni ricchi di vita e di speranza.
Le sette ultime parole del Redentore sulla Croce
1. La prima parola di Gesù in croce, collegata alla prima Sonata (Largo) in Si bemolle maggiore, è: Pater, dimitte illis, quia nesciunt quid faciunt. Dal Vangelo secondo Luca: “Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).
Signore Crocifisso, dalla cattedra della Croce, la prima parola che hai pronunciato è stata perdono: una parola di amore. La violenza, l’odio, l’indifferenza, gli scherni, le risate beffarde, gli sputi che hanno accompagnato la tua passione non hanno avuto il potere di far morire l’amore. Così, perdono è la prima parola di una nuova vita, di un mondo finalmente riconciliato, in cui nessuno viene abbandonato, in cui tutti sono accolti, dove a tutti è offerto il dono di potersi riprendere. In questo tempo di prova, aiutaci Signore Crocifisso a fare nostra la parola perdono, profezia di un mondo fraterno e pacificato.
2. La seconda parola di Gesù in croce, collegata alla seconda Sonata (Grave e cantabile) in Do minore, è: Hodie mecum eris in Paradiso. Dal Vangelo secondo Luca: “Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? [ …]». E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso“. (Lc 23,43).
Signore Crocifisso, al malfattore che incrocia i tuoi occhi dici una parola di salvezza: “Oggi sarai con me in Paradiso”. In quell’oggi c’è la chiave per entrare nella vita eterna. In quell’oggi è custodito il senso veramente umano del vivere e del morire. Così, oltre il confine del tempo, oltre la lacerazione della morte, tu doni un orizzonte di vita piena ed eterna a tutti coloro che si affidano al tuo amore. Lo hai donato anche ai morti vittime di questa dolorosa pandemia, molti dei quali se ne sono andati senza il conforto dei sacramenti e di una carezza familiare, ma ai quali non è mancato il tuo abbraccio.
3. La terza parola di Gesù in croce, collegata alla terza Sonata (Grave) in Mi maggiore, è: Mulier, ecce filius tuus. Dal Vangelo secondo Giovanni: “Gesù […], vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco tuo figlio!. Poi disse al discepolo: Ecco tua madre!. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé” (Gv 19,26).
Signore Crocifisso, la tua via crucis si è intrecciata con la via crucis di tua Madre; accanto al tuo Calvario, c’era il Calvario di tua Madre, lì, impietrita e affranta dal dolore, a guardarti torturato e condannato a morte. Ma lì, in quello sconcio scenario di morte, a tua Madre affidi il discepolo Giovanni: “Donna, ecco tuo figlio…”. Lì, a tua Madre doni una nuova maternità. Lì, la tua morte è già feconda e odora di vita. Anche noi qui a Trieste, nelle ore buie della pandemia, fiduciosi in quella tua parola Donna, ecco tuo figlio…, abbiamo cercato rifugio sotto il manto materno di tua Madre, invocandola come Madonna della Salute e consacrandoci al suo Cuore Immacolato.
4. La quarta parola di Gesù in croce, collegata alla quarta Sonata (Largo) in Fa minore, è: Deus meus, Deus meus, utquid dereliquisti me? Dal Vangelo secondo Marco: “Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mt 27,46).
Signore Crocifisso, dopo quella del tradimento, dopo quella della persecuzione, dopo quella della sofferenza che squassò il tuo corpo, ecco la notte della solitudine, la notte angosciosa del silenzio del Padre. In quella tua notte ci sono le notti interminabili delle donne e degli uomini che, a causa della pandemia, temono per il lavoro e la famiglia, degli anziani per la loro sopravvivenza, dei bambini senza scuola e senza giochi, di tutti costretti a barattare le relazioni reali con quelle virtuali. Da quella tua notte sulla croce nascerà il nuovo giorno della Pasqua di resurrezione, un giorno pieno di nuovi profumi e di nuovi colori, quelli della speranza, della fede, della carità.
5. La quinta parola di Gesù in croce, collegata alla quinta Sonata (Adagio) in La maggiore, è: Sitio. Dal Vangelo secondo Giovanni: ” … Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: Ho sete. Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca” (Gv 19,28).
Signore Crocifisso, santa Teresa di Calcutta il 10 settembre 1946 a bordo di un piccolo treno che si inerpicava da Siliguri a Darjeeling, sentì nel suo cuore il tuo grido sulla croce: Ho sete. In quel momento prese forma in lei la vocazione a spendere la sua vita a servizio dei poveri e dei reietti. Nella tua sete c’è un mondo sfinito perché senza l’acqua dell’amicizia, senza l’acqua della pace, senza l’acqua di Dio. Dopo questa sofferta pandemia, senza la riscoperta di Dio come termine ultimo della nostra sete, la storia resterà schiava dei suoi errori e incapace di affrontare le prove. Signore, “L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?” (Sal 42,3).
6. La sesta parola di Gesù in croce, collegata alla sesta Sonata (Lento) in Sol minore, è: Consummatum est. Dal Vangelo secondo Giovanni: “Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: È compiuto!“ (Gv 19,30).
Signore Crocifisso, tutto è compiuto (Gv 19, 30): questa parola riassume la tua vita di inviato dal Padre per realizzare fino in fondo l’opera per la quale eri stato mandato in questo mondo (cf. Gv 17,4). Ti sei lasciato umiliare “fino alla morte e alla morte di croce” perché il Padre potesse aprire a tutti noi, con il chiavistello della tua croce, la porta per entrare nella vita eterna. Signore, il male, il peccato, la cattiveria ci tolgono l’aria che ci permette di vivere, mentre con il tuo ultimo respiro per dire che tutto è compiuto si è compiuta la nostra salvezza, la salvezza di tutto, la salvezza di tutti. Grazie, Signore: da lì possiamo ricominciare, ogni volta che la vita ci bastona.
7. La settima parola di Gesù in croce, collegata alla settima Sonata (Largo) in Mi bemolle maggiore, è: In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum. Dal Vangelo secondo Luca: “Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito. Detto questo, spirò”(Lc 23,46).
Signore Crocifisso, le tue ultime parole in Croce sono quelle fiduciose dell’abbandono al Padre celeste e svelano il segreto per fare della morte un atto di amore e di fede. Consegnando lo Spirito sulla croce, Tu lo hai trasmesso a noi, perché diventi l’anima della nostra missione di discepoli, seminatori nel mondo del Vangelo delle Beatitudini. Questa sera e in questa nostra Cattedrale, consegniamo a Te la nostra Città e la nostra Chiesa; consegniamo a te le nostre sofferenze e fragilità; consegniamo a Te le nostre vite, perché Tu ce le ridoni rivestite con l’abito nuovo, con l’abito della festa, con l’abito delle nozze, in una ritrovata tranquillità, operosa e serena. Amen!