DIOCESI DI TRIESTE
CAMMINO SINODALE
I cantieri di Betania
Cattedrale di San Giusto, 2 ottobre 2022
L’anno scorso è stato avviato il cammino sinodale, a cui anche la nostra Diocesi ha partecipato, e che si è concluso ad aprile con la consegna della nostra sintesi, confluita poi nella sintesi nazionale, consegnata ai Vescovi durante la 76ª Assemblea Generale della CEI.
È stata una prima fase di “ascolto” ed analisi della realtà attuale, con i punti di forza e le fatiche. Sono stati interessati i diversi ambiti presenti in città, sia ad intra che ad extra, sia riferiti alla comunità italiana che a quella slovena: dalla scuola alle parrocchie, dal lavoro al rapporto tra scienza e fede, dall’ecumenismo alla Caritas… Un lavoro che ci ha impegnato tutti per diversi mesi, anche con ritmi stretti, e ha permesso la stesura di una sintesi che è stata molto apprezzata a Roma.
Quello è stata in qualche modo la descrizione dello stato di fatto, della situazione attuale! Ora ci viene chiesto un passo ulteriore, proprio per evitare di fermarsi ad una mera analisi, un fermo immagine, senza ricadute concrete. Scopo non era, infatti, quello di limitarsi a creare una nuova documentazione da conservare!
Il Sinodo ci chiede ora uno sguardo sul futuro, non generalizzato e vago, ma specifico per il nostro contesto cittadino. Viene, infatti, data piena autonomia alle Chiese locali di sottolineare ed approfondire gli aspetti tipici delle singole realtà, in modo che le idee e i suggerimenti siano aderenti al contesto e possano davvero avere delle ricadute reali, senza rimanere solo buoni propositi non messi in atto.
In questa ottica e riprendendo quanto emerso nella sintesi nazionale, vengono indicate alcune linee di lavoro, che ogni Chiesa locale farà sue e dettaglierà in modo specifico. I cantieri, il cui nome vuole proprio richiamare l’idea di un percorso che porta a realizzare qualcosa, sono 4 come di seguito illustrati e saranno sviluppati in questo nuovo anno.
mons. Roberto Rosa
Il cantiere della strada e del villaggio
“Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio”. Gesù entra nei villaggi e percorre le strade per incontrare le persone, non sottraendosi mai all’ascolto, al dialogo e alla prossimità.
A partire dalla Parola del Vangelo, il cantiere della strada e del villaggio sarà lo spazio per incontrare i “mondi” in cui i cristiani vivono e lavorano, dove “camminano insieme” con le varie espressioni della società. Nella seconda fase del Sinodo l’obiettivo è di ascoltare, innanzitutto, quelle porzioni di società che spesso restano in silenzio come il vasto mondo delle povertà: emarginazione, fragilità, disagio, esclusione, sfruttamento, discriminazione.
È poi previsto l’ascolto dei mondi della cultura (scuola, università e ricerca), delle religioni e delle fedi, delle arti e dello sport, dell’economia e finanza, del lavoro, dell’imprenditoria e delle professioni, dell’impegno politico e sociale, delle istituzioni civili e militari, del volontariato e del Terzo settore. Particolare attenzione sarà dedicata all’ascolto dei giovani rendendolo continuativo in collaborazione con il mondo della scuola e dell’università ha reso possibile.
Papa Francesco insiste sulla necessità di porsi in ascolto profondo, vero e paziente di tutti coloro che desiderano dire qualcosa, in qualsiasi modo, alla Chiesa. Il Concilio Vaticano II, profezia dei tempi moderni e punto di riferimento per il Cammino, ha ricordato che la Chiesa non solo dà, ma anche riceve dal mondo.
Sarà interessante misurarsi con la questione dei linguaggi: la Chiesa dovrà fare uno sforzo per rimodulare i linguaggi ecclesiali, per apprenderne di nuovi (ad esempio quello dei social, della cultura digitale o quelli prodotti delle fratture prodotte dall’emarginazione), per frequentare canali meno usuali e anche per adattare creativamente il metodo della “conversazione spirituale”, che non potrà essere applicato dovunque allo stesso modo e dovrà essere adattato per andare incontro a chi non frequenta le comunità cristiane.
Temi emersi anche dalla sintesi diocesana del Sinodo in cui si auspica un dialogo con le persone fuori dalla Chiesa, con persone di cultura diversa, con i non credenti aprendo relazioni attraverso il coinvolgimento e la testimonianza. E così ci si è interrogati rispetto al rapporto della Chiesa con i nuovi linguaggi e con modalità di comunicazione per essere al passo con i tempi. Al Sinodo diocesano hanno partecipato 95 classi delle scuole triestine e quindi sono stati ascoltati un numero consistente di giovani, iniziando un percorso sinodale fecondo e costruttivo per accorciare le distanze, stimolando anche un linguaggio più immediato e vicino alle nuove generazioni.
Camminando per le strade e i villaggi della Palestina, Gesù riusciva ad ascoltare tutti: dai dottori della legge ai lebbrosi, dai farisei ai pescatori, dai giudei osservanti ai samaritani e agli stranieri. Dobbiamo farci suoi discepoli anche in questo, con l’aiuto dello Spirito.
Vera Pellegrino
Il cantiere della ospitalità e della casa
“Una donna, di nome Marta, lo ospitò” nella sua casa. Il cammino richiede ogni tanto una sosta, desidera una casa, reclama dei volti. Marta e Maria, amiche di Gesù, gli aprono la porta della loro dimora. Anche Gesù aveva bisogno di una famiglia per sentirsi amato.
Le comunità cristiane attraggono quando sono ospitali, quando si configurano come “case di Betania”: un luogo in cui si impara a vincere l’individualismo e ci si immunizza dall’amarezza della solitudine, soprattutto come condizione di chi non si sente compreso.
La dimensione domestica autentica non porta a chiudersi nel nido, a creare l’illusione di uno spazio protetto e inaccessibile in cui rifugiarsi. La casa che sogniamo ha finestre ampie attraverso cui guardare e grandi porte da cui uscire per trasmettere quanto sperimentato all’interno – attenzione, prossimità, cura dei più fragili, dialogo – e da cui far entrare il mondo con i suoi interrogativi e le sue speranze. Richiamandosi all’esperienza della pandemia, nel primo anno del Cammino sinodale, molti hanno evidenziato la fecondità della “casa” anche come “Chiesa domestica”, luogo di esperienza cristiana (ascolto della Parola di Dio, celebrazioni, servizio). Emerge il desiderio poi di una Chiesa plasmata sul modello familiare (sia esso con figli, senza figli, monogenitoriale o unipersonale), capace di ritrovare ciò che la fonda e l’alimenta, meno assorbita dall’organizzazione e più impegnata nella relazione. Il cantiere dell’ospitalità e della casa dovrà approfondire l’effettiva qualità delle relazioni comunitarie e la tensione dinamica tra una ricca esperienza di fraternità e una spinta alla missione che la conduce fuori. La famiglia come realtà in cui nasce e cresce la fede in sinergia con la comunità ecclesiale (si vive la fraternità e si prega in famiglia e in chiesa), in un circolo virtuoso di reciproco arricchimento. La prima fase diocesana del Sinodo ha evidenziato la necessità di trovare tempo da “perdere” con gli altri (per esempio dopo la Messa domenicale in un momento di ritrovo fraterno o pensando a gite o coinvolgendo in iniziative anche ricreative i parrocchiani più isolati), vincendo l’individualismo o l’ansia dello stare dietro a tanti impegni.
In questo cantiere ci si interrogherà poi, coinvolgendo in particolare i consigli pastorali e i sacerdoti, sulle strutture, perché siano poste al servizio della missione e non assorbano energie per il solo auto-mantenimento. Uno scopo potrebbe essere quello di liberare tempo ai sacerdoti perché possano stare di più tra e con le persone, rendendosi più disponibili per l’accompagnamento spirituale e l’amministrazione dei sacramenti, anche a persone lontane dalla pratica religiosa, lavorando in sinergia con i laici, che frequentano i più diversi ambienti professionali, sociali, ecc.
Nell’ambito del cantiere sinodale si potrà poi rispondere alla richiesta, formulata nella prima fase diocesana del sinodo, di un’analisi e un rilancio degli organismi di partecipazione (specialmente i Consigli pastorali e degli affari economici), perché siano luoghi di autentico discernimento comunitario, di reale corresponsabilità, e non solo di dibattito e organizzazione.
Alcuni spunti di riflessione:
Quali funzioni e impegni sono davvero necessari all’evangelizzazione e quali sono solo vòlti a conservare le strutture? Che cosa chiedono gli uomini e le donne del nostro tempo, per sentirsi “a casa” nella Chiesa? Quali passi avanti siamo disposti a fare, come comunità cristiane per essere più aperte, accoglienti e capaci di curare le relazioni? Esistono esperienze ospitali positive per ragazzi, giovani e famiglie (ad es. l’oratorio)?
Giancarlo Augusto
Il cantiere delle diaconie e della formazione spirituale
Riprendendo il brano del Vangelo ascoltato, va evidenziato come Marta e Maria non sono due figure contrapposte, ma due dimensioni dell’accoglienza, innestate l’una nell’altra in una relazione di reciprocità, in modo che l’ascolto sia il cuore del servizio e il servizio l’espressione dell’ascolto. Gesù non critica il fatto che Marta svolga dei servizi, ma che li porti avanti ansiosamente e affannosamente, perché non li ha innestati nell’ascolto. Il servizio necessita, dunque, di radicarsi nell’ascolto della parola del Maestro: solo in questo modo potrà davvero portare frutto e cogliere attese, speranze e bisogni.
Questo terzo cantiere vuole, quindi, porre l’attenzione ai servizi e ministeri ecclesiali, per evidenziare la necessità di vincere l’affanno e radicare meglio l’azione nell’ascolto della Parola di Dio e dei fratelli.
Spesso la pesantezza nel servire, nelle comunità, nasce dalla logica del “si è sempre fatto così”, dal moltiplicarsi di attività e cose da fare, dall’efficientismo alle burocrazie ecclesiastiche, trascurando inevitabilmente la centralità dell’ascolto e delle relazioni. Il cantiere al contrario vuole rimettere al centro l’ascolto della Parola di Dio e l’ascolto reciproco, di cui molte sintesi hanno evidenziato una grande sete.
In questo contesto, si incroceranno le questioni legate alla formazione dei laici, dei ministri ordinati, di consacrate e consacrati; le ministerialità istituite, le altre vocazioni e i servizi ecclesiali innestati nella comune vocazione battesimale del popolo di Dio “sacerdotale, profetico e regale”.
La domanda di fondo di questo cantiere sarà: come possiamo “camminare insieme” nel riscoprire la radice spirituale del nostro servizio? Ossia come possiamo evitare il rischio dell’efficientismo affannato, mettendo al centro le relazioni e non le cose da fare? Come coinvolgere le donne e le famiglie nella formazione e nell’accompagnamento dei sacerdoti? Quale spazio rivestono o possono rivestire nelle comunità cristiane le persone che vivono forme di consacrazione e di vita contemplativa?
Queste saranno alcune delle domande a cui cercheremo di dare risposta insieme, partendo ed inserendoci nel contesto concreto della Chiesa di Trieste.
Paola Santoro
Il cantiere del rapporto tra Chiesa e città
La nostra città storicamente si configura come un
melting pot di culture, gruppi sociali, pratiche religiose, fin dai tempi fiorenti dell’Impero austro-ungarico e della ricchezza commerciale, economica e culturale. Oggi la città è diversa rispetto a quel tempo, eppure ha mantenuto un’impronta plurale specialmente in campo religioso: non esiste in Italia un’altra città con una tale varietà di confessioni religiose, i cui templi si guardano l’un l’altro a breve distanza tra le vie della città e le cui comunità, anche se piccole nei numeri, si adoperano per mantenere accesa la fiamma della fede e del culto, trovando anche spazi e tempi di condivisione ecumenica o interreligiosa.
Negli ultimi decenni, inoltre, la città ha trovato anche spazi di nuovo sviluppo, in particolare nel campo scientifico, a cui Trieste offre centri di assoluto rilievo internazionale ospitando con amorevole cura donne e uomini di scienza che qui esercitano il proprio compito per il bene comune.
Ebbene, in questi contesti la Chiesa ha avuto e continua ad avere un ruolo di interlocuzione, riflessione, approfondimento e confronto. Numerose sono state le iniziative liturgiche ecumeniche tra i cristiani cattolici e delle altre confessioni, nonché le iniziative anche culturali interreligiose.
Negli ultimi anni, poi, si sono moltiplicate iniziative di grande rilievo sul tema del rapporto tra scienza e fede, cui la Chiesa ha dedicato una speciale attenzione per favorire la formazione e per superare certi preconcetti ancorati al passato.
Questo cantiere si interroga e ci interroga sulle prospettive che la Chiesa incontrerà in questi tempi sfidanti: da una parte l’orizzonte ecumenico dell’
ut unum sint che si sovrappone all’orizzonte a-religioso della società odierna; dall’altra lo sviluppo sociale che guarda ormai con sospetto sia la fede che la scienza.
Arturo Puccillo
Se l’obiettivo del secondo anno del Cammino sinodale rimane quello di irrobustire la capacità di camminare insieme, in una diocesi di frontiera come la nostra non possiamo non porci la domanda di ricercare nuove di interazione e di condivisione tra fedeli che da secoli fanno parte di due comunità linguistiche e culturali distinte, ma nello stesso tempo della stessa ed unica comunità ecclesiale.
Naturalmente non è la prima volta che le due comunità si pongono questa domanda, ma la necessità della sua riproposizione si pone perché cambiano le circostanze storiche.
Infatti, a differenza di venti o trenta anni fa, parliamo di due comunità che sono ormai entrambe parte integrante delle medesime strutture politico-amministrative, usano la medesima moneta, scambiano quotidianamente esperienze a livello economico, universitario, scientifico. E poi, il cammino non è più solo a due (italiani e sloveni, cioè le due culture autoctone) né limitato alle già menzionate comunità storicamente presenti a Trieste (serbi, croati, greci, armeni ecc). Ormai è un cammino polifonico che include anche coloro che nel nostro territorio trovano lavoro o rifugio. Questa polifonicità interroga anche la Chiesa e ci stimola a ricercare percorsi, proporre iniziative che includano tutti, ma che allo stesso tempo valorizzino la peculiarità di ognuno.
La domanda di fondo che si pone nello spirito del secondo anno del Cammino sinodale è dunque quella di chiederci come il nostro camminare insieme può creare spazi di ascolto specifici per approfondire la conoscenza reciproca tra le culture che compongono la nostra comunità e che comporta per la Chiesa assumere questa attenzione.
Tomaž Simčič