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Scoprimento e benedizione della statua di Mons. Antonio Santin

 

DIOCESI DI TRIESTE


BENEDIZIONE DELLA STATUA DI S.E. MONS. ANTONIO SANTIN


+ Giampaolo Crepaldi


Piazza Sant’Antonio Nuovo, 18 marzo 2023



Distinte Autorità, cari confratelli nel sacerdozio, fratelli e sorelle!

1. Sono particolarmente grato al Signore per avermi fatto la grazia di benedire la statua di S.E. monsignor Antonio Santin collocata nella Piazza Sant’Antonio Nuovo, di fronte all’omonima chiesa parrocchiale. La collocazione della statua del grande Vescovo di Trieste, che esercitò il suo ministero negli anni torbidi della seconda guerra mondiale e di quelli difficili e complessi del dopo guerra, è un evento particolarmente significativo sul piano religioso e civile. La statua, in particolare, richiama alla memoria i convulsi avvenimenti che si consumarono in questa piazza dal 3 al 6 di novembre del 1953, dove, a seguito di scontri violenti con la polizia civile della zona A, persero la vita sei giovani triestini. In quella circostanza il vescovo Santin ebbe un ruolo determinante nella pacificazione della città. Ma, a questo punto, è bene dare la parola a Lui, che nel diario di quei giorni dolorosi scrisse: “Mi portai a Sant’Antonio Nuovo. Fuori e dentro vi era molta gente. Cercai di mettere calma. Intanto dietro la chiesa si era creata una situazione estremamente pericolosa. Vi era una folla minacciosa esasperata per i morti della giornata da una parte e la polizia con le armi spianate dall’altra. Erano a contatto d’uomo. Una mossa sbagliata poteva creare la catastrofe. Mi posi tra la folla e la polizia. La mia posizione era facilitata dal fatto che avevo il favore della folla […]. In città la tensione era grande, perciò a sera inoltrata con il segretario feci un lungo giro per la città, pregando i vari gruppi di cittadini, e specialmente di giovani, di desistere e di ritornare a casa per evitare nuove disgrazie”. Il Vescovo il giorno dei funerali, tenne un’omelia di pacificazione. La grande solennità data alla celebrazione del funerale dei giovani caduti e il forte testo dell’omelia del vescovo Santin furono elementi decisivi per evitare ulteriori e pericolosi incidenti.

2. Con la benedizione della statua di questo mio illustre predecessore continua il giusto riconoscimento del valore che il vescovo Santin ebbe nella storia della Diocesi tergestina e della città di Trieste, opportunamente da tutti ricordato come Defensor civitatis. Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno reso possibile questa opera meritoria: il benefattore il quale, con animo riconoscente verso monsignor Santin e autentico amore per Trieste, si è fatto carico di tutto il necessario per realizzarla; la Soprintendenza che ha seguito con accuratezza la progettazione; l’Amministrazione comunale di Trieste, che ha seguito con crescente e convinto coinvolgimento la realizzazione del progetto; il maestro Albano Poli del Progetto Arte Poli di Verona che ha realizzato la statua con autentica sensibilità artistica; l’architetto Eugenio Meli che ha coordinato tutta l’opera e la ditta Rosso costruzioni che ha provveduto alla collocazione in questa piazza. La statua che ritrae il vescovo Santin, senza piedestallo a significare la sua presenza non sopra noi ma tra di noi, è un monito salutare e profetico che, ricordandoci una pagina difficile del nostro passato, intende responsabilizzarci verso il presente e il futuro nel segno cristiano della pace e della giustizia.

3. La statua di monsignor Santin ci ricorda il Pastore tutto dedito al suo popolo le cui istanze non temeva di rappresentare presso le varie realtà politico-istituzionali secondo le necessità del momento; ci ricorda il Padre vicinissimo a chi subiva lo sfregio di contingenze storiche drammatiche: in mezzo a mille conflitti bellici e ideologici, infatti, il vescovo Santin si posizionò dalla parte di Dio e dalla parte del popolo, improntando la sua azione alle superiori esigenze del suo ministero religioso e pastorale. Ci ricorda il Maestro che cercò incessantemente di far capire ai suoi vari interlocutori quanto fosse distruttivo il mancato riferimento a Dio nel governo delle persone e della storia e quanto fosse indispensabile il rispetto dei valori morali e dei diritti fondamentali della persona umana per costruire un mondo di giustizia e di pace. In quelle giornate tenebrose che avvolsero Trieste nel novembre del 1953, monsignor Santin fu il riflesso di una luce che aveva la sua fonte nel Vangelo cristiano della riconciliazione e della pace. Chiediamoci: dove trovava le sorgenti per alimentare la sua forza di uomo e di vescovo? La risposta è univoca: in Gesù Cristo e nel suo vangelo di amore e riconciliazione. A riprova di questo consentitemi di leggere una pagina del suo Diario scritta il 27 ottobre del 1964, quindi 11 anni dopo i fatti ricordati, mentre partecipava a Roma ai lavori del Concilio Vaticano II: “Sono qui a Roma chiamato dalla Chiesa. La diocesi è lontana per la distanza che vi è fra Roma e Trieste, ma la porto con me. Il mio pensiero è lassù. Sto avvicinandomi all’anniversario della mia ordinazione episcopale. Anche qui distanza, ma il tempo da quel giorno ad oggi 1933-1965! sono 32 anni. Era una giornata di vento e di pioggia. A Pola. A conclusione di 15 anni passati in quella città che mi fu e mi è cara. Quindici anni di lavoro intenso, vario; cura d’anime in mezzo al popolo. Ma eravamo pochi e il popolo tanto. Ero giovane, avevo solo la buona volontà. Furono le prime esperienze. E fui così vescovo... la scelta era venuta improvvisa, inaspettata. Non vi era [da parte mia] alcuna preparazione a questo ufficio. Fui consacrato. Rivedo da questa lontananza, quel giorno, freddo. Fecero tanta festa. È facile far festa. E quello che ti dicono e ti fanno gli altri vorrebbe un po’ strapparti a te stesso. Ma è così lontana la realtà da quello che dicono e fanno. La Cattedrale. Ed io lì davanti ai piedi dell’altare. Mi daranno mitra e pastorale, mi daranno un sacramento, la pienezza del sacerdozio. Dio per le mani di un vescovo assistito da altri due, mi farà suo vescovo. E laggiù una diocesi, un popolo attende. Cristo Re. Avevano scelto quella giornata come auspicio, come programma, come speranza. Così incominciò. Trentadue anni. Sono molti, sono pesanti. So, sono passati anno per anno, non mi sono venuti addosso assieme... Dio... mi dia costanza e coraggio. Mi faccia suo... Come Egli mi vuole. E anche come io umilmente e con tanto amore voglio”. È la storia di un’anima. Spero vivamente che quanti volgeranno lo sguardo a questa statua siano capaci di coglierne lo spirito di amore e di speranza.