Ieri sera, mercoledì 30 agosto, nell’Auditorium del Seminario, il Vescovo mons. Enrico Trevisi ha sottoscritto il Manifesto della comunicazione non ostile alla presenza dei membri del Consiglio pastorale diocesano, della Consulta delle Aggregazioni laicali e dei responsabili degli uffici, servizi e commissioni della Curia.
Quella del capoluogo triestino diventa così la prima Diocesi italiana a confermare il suo supporto al decalogo ideato dall’Associazione Parole O_Stili, nata nel 2017 con l’obiettivo di portare avanti un’azione di sensibilizzazione per contrastare l’uso violento delle parole e la comunicazione aggressiva online.
Un canale, quello di Internet e dei social, che, stando alle ultime rilevazioni della Banca dati Ipsos svolte su un campione di 1.000 italiani maggiorenni, viene gestito in maniera efficace da parte della Chiesa nella comunicazione ai fedeli per il 63% del campione intervistato, dato che sale all’87% nel caso dei credenti più impegnati e, in ogni caso, non scende sotto il 39%, incidenza registrata tra chi non segue alcuna religione.
Nella percezione generale, soprattutto negli ultimi anni, strumenti come social network e blog hanno facilitato una maggiore vicinanza alle questioni legate a spiritualità e religione per il 40% degli intervistati, dato che, guardando ai segmenti delle diverse fasce di età, sale al 45% per i millennials, mentre a essere maggiormente scettici sull’efficacia della comunicazione social da parte della Chiesa sono i baby boomers tra i quali il dato scende al 35%. Più fiduciosi sono invece gli over 75, il 67% dei quali è convinto che questi canali abbiano contribuito ad avvicinarli maggiormente alle questioni spirituali.
La firma rappresenta un’ulteriore tappa di consolidamento nel rapporto tra Parole O_Stili e la Diocesi di Trieste, avviato proprio in occasione dell’ultima edizione del Festival della Comunicazione non ostile nel maggio di quest’anno, durante il quale Monsignor Trevisi aveva annunciato la volontà di sottoscrivere il Manifesto.
“Nella comunicazione digitale siamo ancora apprendisti. La firma del manifesto della comunicazione non ostile non è una meta ma una responsabilità: si tratta di importare nel digitale quella bella umanità che traspare nei Vangeli. Se talvolta gli strumenti sembrano giustificarci nell’usare parole violente, stili aggressivi, impeti irragionevoli, occorre invece recuperare il valore della Parola, che è un ponte, come la Parola di Dio che si è fatta carne, ponte tra l’umano e il divino.” dichiara Mons. Enrico Trevisi, Vescovo di Trieste.
“Credo che la parola chiave delle nostre vite onlife sia consapevolezza. Una questione importante da affrontare, non soltanto per gli utenti laici ma anche per un Vescovo, un parroco, un sacerdote o una religiosa. Perché il digitale è un luogo abitato da tutti e da tutte, che sta cambiando profondamente le relazioni tra le persone chiedendoci così di rivedere il nostro modo di evangelizzare, di testimoniare e di condividere la fede.
Il lavoro di ascolto portato avanti all’interno del Sinodo Digitale, al quale ho personalmente partecipato, ha evidenziato con forza questa necessità anche nella Chiesa. È per questo che il nostro augurio è che il Manifesto diventi la firma di tutti… parrocchia dopo parrocchia. Anche alla luce delle prossime sottoscrizioni che coinvolgeranno le diocesi di Grosseto, Pinerolo e Brindisi con i vescovi Mons. Giovanni Roncari, Mons. Derio Olivero e Mons. Giovanni Intini” afferma Rosy Russo, Presidente di Parole O_Stili.
Di seguito riportiamo il testo dell'intervento di mons. Trevisi
DIOCESI DI TRIESTE
Firma del Manifesto della Comunicazione non ostile
✠ Enrico Trevisi
Auditorium del Seminario Vescovile, 30 Agosto 2023
Dalla Prima lettera di Giovanni (1,1-4)
Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena.
___________
La fede è comunicazione.
“Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto… noi lo annunciamo anche a voi”. Dunque la fede è comunicazione evangelica, cioè di una buona notizia. Così prosegue la prima lettera di Giovanni: “Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c'è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità”.
Dunque possiamo “dire” la fede ed essere bugiardi, perché non siamo in comunione con Dio.
Se siamo chiamati ad essere testimoni ed annunciatori, siamo chiamati anche ad essere in comunione con Dio, con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Ma talvolta al posto che essere umili nel comunicare questa verità complicata che è Dio amore, Dio Trinità, il Signore Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo, lo Spirito Santo che procede dal Padre (e anche dal Figlio? Questione ecumenica aperta) ci siamo reciprocamente offesi, intestarditi l’uno contro l’altro. In nome della verità (quale? Gesù Cristo o una formula che lo pietrifica?) ci siamo divisi e talvolta poi abbiamo nella storia faticato a riconciliarci e non sempre ci siamo riusciti.
Siamo ancora apprendisti nella comunicazione
L’avere il Vangelo come paradigma di comunicazione non ci è bastato. Il Verbo si è fatto carne, ma poi noi lo vogliamo ancora ridurre a formule e concetti, a parole disincarnate. E in effetti il bisogno di unità e comunione passa anche attraverso le parole, le formule, i dogmi che dicono una verità raggiunta. E tuttavia poi le discussioni, le varianti, le insofferenze per nuove formulazioni che a qualcuno apparivano più adeguate e ad altri infelici ed erronee hanno portato da subito non solo a discutere ma anche ad escludere. Verità ed errore. Ortodossia ed eresia.
Non è un tema semplice e non voglio semplificarlo.
Quanto è facile costruirci dei vitelli d’oro (come già Israele nel deserto), addomesticare Dio e la sua Parola alle nostre paure, esigenze, convenienze. Su questo dobbiamo aiutarci. E nella Chiesa abbiamo strutturato dei percorsi, delle strade sicure. Abbiamo la Scrittura, la Tradizione (con la maiuscola), la ricerca teologica perché -guidato dallo Spirito- il Magistero (nel suo collegamento e servizio al Popolo di Dio) ci aiuti a restare dentro il progetto di Dio (la sua Misericordia e la sua salvezza) continuamente da discernere.
Eppure anche queste strade sicure – nel variare dei tempi e nella necessità di testimoniare il Vangelo a uomini e donne collocati in epoche diverse, in movimenti culturali e sociali nuovi – talvolta ci vedono in una dialettica che rischia la rissa, che scandalizza per il linguaggio offensivo, che contraddice le più note pagine di Vangelo.
Gesù è via, verità e vita. Declinare nei mille capitoli della nostra storica esistenza la sua Parola e quanto la Chiesa ci ha insegnato non è sempre facile. È un continuo ingaggio di intelligenza e libertà, di obbedienza e di coscienza.
Ecco che siamo ancora degli apprendisti. Siamo ancora alla ricerca di una modalità per confrontarci, per aiutarci nel cammino della fede, nella ricerca di quanto Dio oggi ci sta chiedendo per questa nostra storia, per questa nostra umanità ferita e fragile eppure amata e chiamata a camminare nelle vie dello Spirito Santo.
Quanto è spontaneo offendersi e contraddire il Vangelo. Quanto è facile escludere, quando Gesù è venuto a includere tra i suoi anche i poveri, i peccatori, i malati. I lebbrosi di allora erano per antonomasia gli esclusi perché ritenuti colpevoli, pericolosi di contagio, reietti da Dio. E anche per loro Gesù è venuto e ha scandalizzato. Quanto ci fa bene indugiare a contemplare su come Gesù si è relazionato con le diverse categorie di persone. Come ci fa bene contemplare e meditare come Gesù sapeva scandalizzare i religiosi del suo tempo annunciando un Dio che andava oltre le loro categorie.
Noi dobbiamo ancora aiutarci ad imparare a come discutere, confrontarci, cercare di declinare la Verità che è Cristo nelle parole umane. Siamo nel flusso di una storia e guardiamo all’Assoluto che è Dio che si è fatto carne e storia e che sempre ci chiede di percorrere vie nuove di evangelizzazione, come fin dall’inizio hanno osato Pietro, Paolo, Giovanni…
La firma del manifesto non è una meta ma una responsabilità.
Talvolta la nostra comunicazione intra-ecclesiale è infelice. Come si può procedere insultando il papa. Scrivere messaggi o mail in cui si banalizza tutto, si svilisce il ministero del papa e dei vescovi e di tanti fratelli e sorelle nella fede con insulti, slogan che non fanno onore all’intelligenza di chi li diffonde. Come si può con tanta facilità dare dell’eretico e condannare alle pene dell’inferno, mettere dei like a chi estrapola frasi e riduce gli argomenti a banali frasette con cui aizzare al “crocifiggilo, crocifiggilo” come è stato fatto 2000 anni fa. Io penso che occorre l’obiezione di coscienza e isolare chi comunica privo di un minimo spessore evangelico. Non si tratta di galateo o di buone maniere, ma della verità che è il come Gesù comunica andando in Croce, imparando da lui, mite e umile di cuore. Dunque si tratta di una verità teologica essenziale.
Anche la nostra comunicazione extra-ecclesiale talvolta è infelice e contraddice il Vangelo. Già San Giovanni XXIII insegnava nella Pacem in terris a distinguere tra errore ed errante. Ma come è facile ancora oggi usare linguaggi per i quali ci insultiamo e usiamo tutti i registri del sarcasmo, dell’irrisione, dello scherno.
Pensare: “ma se gli altri offendono noi… allora anche noi possiamo difenderci per le rime” non è evangelico. Gesù ci ha detto, al positivo: fate agli altri quello che volete che facciano a voi (cf Mt 7,12).
La firma di questo manifesto non è la meta, è una responsabilità impegnativa. Non firmo una dottrina o una ideologia, ma la ricerca di uno stile che a me ricorda tanto il Vangelo declinato in termini laici e per la comunicazione digitale. E a Gesù piaceva parlare in termini laici: raccontava di vigne e di seminatori, di lievito e di sale, di pecore e di fichi.
Talvolta sbaglieremo. Potrà essere che avremo ancora da chiedere scusa. Potrà essere che nel risentimento per le offese ricevute, per la passione per la verità che vogliamo difendere, per la paura che quella formulazione della verità sia imprecisa e quell’altra disattesa… cadremo ancora in qualche eccesso. E sarà bene allora fermarci ancora un poco, e poi di nuovo aiutarci a trovare una comunicazione non ostile. Eppure sempre alla ricerca del vero, del bello, del buono. Tutte realtà che non sono mai ostili.
I mezzi di comunicazione digitale non sempre ci aiutano. Essi pongono uno schermo tra noi e gli altri che sembra autorizzarci a una dialettica che invece faccia a faccia spesso ci vede più rispettosi e prudenti. Anche noi a volte siamo analfabeti digitali, ancora incapaci di cogliere potenzialità e limiti di questi mezzi di comunicazione.
E allora grazie a chi ci ha messo cuore e intelligenza e ci sprona a educarci ad una migliore comunicazione. Grazie all’opportunità di pensare a come comunicare.
Siamo alla vigilia di comunicazioni importanti per la nostra Chiesa. Nuove nomine. Linee pastorali. Cammini sinodali. Questa firma vuole essere l’impegno per una comunicazione di qualità, per una ricerca delle strade pastorali che ci vedano tutti protagonisti ma anche evangelicamente protagonisti.
Non sono le offese, i chiacchiericci, le dietrologie, le calunnie che ci fanno crescere. Abbiamo ben altri stili comunicativi che anche nell’epoca digitale dobbiamo imparare e diffondere. Di questi anche noi cristiani ne abbiamo bisogno. E vogliamo impegnarci con responsabilità anche per educare le nuove generazioni a stili comunicativi maggiormente fraterni e rispettosi.
Riusciremo a declinare questo decalogo dentro la comunità cristiana? Riusciremo ad avviare un processo di crescita nei nostri modi di tradurre Cristo (via, verità e vita) nei nostri dibattiti? Questa è la sfida che vogliamo raccogliere.