DIOCESI DI TRIESTE
Solennità di San Giusto martire,
Patrono della Città e della Diocesi di Trieste
✠ Enrico Trevisi
Cattedrale di San Giusto, 3 novembre 2023
Cari fratelli e sorelle,
Amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre
Un saluto a tutti, a Sua Ecc. Mons. Giampaolo Crepaldi, al popolo di Dio qui rappresentato e a quello che ci segue da casa (penso agli ammalati e agli anziani), ai presbiteri e diaconi, alle autorità tutte che ringrazio per la loro presenza.
A tutti dico grazie per come mi state accompagnando in questi miei primi passi e a tutti chiedo scusa per i miei limiti e la mia inesperienza. E per tutti prego San Giusto, che interceda per la nostra città e la nostra diocesi. Per le famiglie, per i giovani, per chi sta male.
San Giusto lo penso come
un giovane,
che ha dato la vita,
che è stato legato a grosse pietre
ma che è vivo.
1. San Giusto è un giovane. Claudio Lucifora, professore di Economia politica all’Università Cattolica, ha scritto recentemente: “I dati parlano chiaro: in Italia un giovane su cinque è disoccupato. Il tasso di disoccupazione giovanile nei primi mesi del 2023 è risultato pari al 21,7%, in controtendenza rispetto all’andamento della disoccupazione totale, che invece durante la ripresa post-Covid è scesa al 7%. Quando poi si scava un po' più a fondo, il panorama diventa più fosco. Dal Rapporto annuale Istat del 2022, risulta che un giovane su due (il 47,7% dei 18-34enni) presenta segni di deprivazione in almeno uno degli indicatori di benessere (istruzione, lavoro, inclusione sociale, salute, benessere) e almeno la metà di questi soggetti soffre di multi-deprivazione, cioè con più di un indicatore in sofferenza. L’altra faccia della medaglia è rappresentata dai bassi salari, che spesso accompagnano i giovani per molti anni dopo il loro ingresso nel mercato del lavoro. Il lavoro povero, infatti, è popolato di giovani (e di donne) che, nonostante abbiano un lavoro, sono a rischio di povertà. Sebbene la sovra-rappresentazione dei giovani tra i disoccupati e tra i lavoratori poveri sia comune a molti Paesi, l’Italia presenta caratteristiche peculiari essendo l’unico Paese in cui negli ultimi decenni i salari reali sono diminuiti, mentre sono aumentati del 20-30% in buona parte dei Paesi europei”. Finita la citazione.
Che società siamo se ci limitiamo a condannare i nostri giovani, a parlarne male, a lamentarci di essi?
Mentre l’Europa (UE27) spende in istruzione mediamente il 4,8% del PIL, e paesi come la Svezia, la Danimarca e il Belgio superano abbondantemente il 6,2% del PIL, in Italia la spesa in istruzione si attesta al 4,1% del PIL.
Sarebbe bella una società nella quale si investe sui giovani, si crede nei giovani. Non li si giudica, ma semmai insieme a loro ci si appassiona per cose belle e impegnative: il lavoro in una sostenibilità integrale, la giustizia e la pace tra i popoli, la famiglia come luogo stabile di affetti e relazioni di qualità, l’attenzione ai poveri che sempre più ci circondano…
Sappiamo essere appassionati a cose grandi? O proponiamo una cultura del benessere individuale che rinchiude ciascuno su se stesso, intristito dall’invidia per quelli che altri hanno, demotivato di fronte alle proprie fragilità in una lotta continua a prevalere gli uni sugli altri.
In perenne campagna elettorale, in perenne competizione gli uni sugli altri, in perenne paura gli uni degli altri. Possiamo essere diversi? Si lo possiamo e san Giusto ci insegna.
2. San Giusto ha dato la vita. È un martire. Per cosa siamo disposti a dare la vita?
San Giusto martire ci insegna che c’è qualcosa-qualcuno per cui dare la vita. In un tempo di relativismo imperante, di individualismo pandemico, di nichilismo contagioso e strisciante non c’è nulla che meriti il mio sacrificio, la mia vita, il mio impegno. I genitori sono frastornati e faticano a dare motivazioni che appassionino, la scuola laica e pluralista vuole restare equidistante, nella Chiesa rischiamo un clima da fortino assediato che ci rinchiude in retroguardia.
Avere qualcosa per cui dare la vita, per cui spendersi, per cui impegnarsi è la grande sfida umana. Ci sono persone, anche laiche, che hanno trovato nel volto ferito di tanti sfortunati la ragione dello spendere la propria vita. San Giusto ci mostra che Gesù Cristo è colui che ci dice il valore della nostra vita, il senso autentico per cui vivere, che è un rischiare l’amore fino a spendersi in modo eccedente, gratuito, appassionato, senza tirarsi indietro. Fino al martirio consapevoli che c’è un infinito a cui protendersi, di cui essere segno. Ma ti protendi all’infinito se credi in un amore infinito che già ti raggiunge. Quello di Dio per te.
Vogliamo restare intorpiditi e distratti, seduti al nostro tavolino comodi e impigriti, oppure come San Giusto abbiamo trovato Qualcuno a cui ispirarci per una vita da protagonisti, per una vita che ci appartiene in pieno, per una vita che si protende all’infinito orizzonte del nostro mare?
San Giusto ci insegna che c’è qualcuno a cui consacrare la vita, e renderla luminosa, piena di senso, piena di amore, ricevuto e ricambiato.
3. San Giusto è stato legato a grosse pietre. Nel nostro supermercato di infinite opportunità, in cui fatichiamo a decidere cosa può motivare le scelte, non c’è nessuna grande ragione, ma soltanto l’emozione del momento (abilmente indotta dal mercato, assetato di lauti profitti, e in mano a sempre meno persone) o l’interesse privato del momento: l’avanzamento di carriera; il proprio prestigio che fa essere invidiati; il consenso politico perché i sondaggi dicono quel che devi fare (per es. che occorre affrettarsi a promuovere una qualche legge sul suicidio assistito).
Ci rassegniamo a vivere senza grandi ragioni? Il giovane San Giusto ci insegna che invece possiamo trovare grandi ragioni per spendere la vita. Gesù illumina il tuo essere padre e madre, lavoratore e lavoratrice, giovane e anziano. Se non ti accende Lui il cuore, rischi di restare in balia di quel nichilismo per cui niente merita il tuo impegno: non resta che il tuo ego esasperato e vulnerabile. O al massimo la tua ira per come va il mondo che brucia di guerre e di ingiustizie. Un’ira che talvolta acceca. In una spirale di vendette e ritorsioni. Il martire non è un kamikaze (uno che muore uccidendo), ma uno che muore amando e sapendosi amato.
San Giusto crede che le corde e le pietre che lo portano a fondo non sono la vittoria. Non si cade nella disperazione. San Giusto crede in un amore che vince anche nel paradosso del nostro fallimento (le corde e le pietre che ci portano a fondo nel mare). San Giusto, per la sua fede, continua a guardare il mare come infinito orizzonte di speranza.
4. San Giusto è vivo. Sta a noi riconoscerlo presente.
Ci sono giovani che – pur frastornati e tentati – stanno provando a rischiare la vita per ragioni grandi, per un mondo diverso, per una giustizia e una pace che siano segno di Cristo e non mediazioni al ribasso. Ci accorgiamo di quelli che con passione si impegnano nelle nostre Università, nel soccorrere i poveri, nel fare volontariato internazionale, in un’autentica formazione integrale di sé, dove si coniuga spiritualità, intelligenza e carità?
Ci sono uomini e donne che pur nell’inverno demografico rischiano e spesso in una cultura che esalta solo l’egoismo si spendono nella gioia per i propri figli.
Ci sono malati che restano dentro la vita impegnati ad amare e sorreggere. Io benedico Dio per quella signora sulla carrozzina che mi scrive: io non posso fare la volontaria al dormitorio di notte, ma ogni mattina e ogni sera vi ricordo nella preghiera. Io benedico Dio per quell’anziano che telefona e dice: io ho novant’anni e non posso venire a fare il volontario ma mando un’offerta. Io benedico Dio per quel malato paralizzato a letto che mi interpella per trovare casa a quei profughi i cui figli si sono inseriti nella scuola ma che il sistema lascia per la strada. Io ringrazio Dio perché San Giusto è vivo in mezzo a noi e prende le sembianze di tanti che, anche pagando il prezzo dell’incomprensione, si stanno spendendo coraggiosamente nell’amore, guardando l’orizzonte infinito del nostro mare, l’orizzonte infinito dell’amore di Dio ricevuto.
Al termine dell'omelia il Vescovo mons. Trevisi, anche a nome di Rav Eliahu Alexandre Meloni, Rabbino capo di Trieste, e Omar Akram, Presidente della Comunità Islamica di Trieste, ha annunciato per domenica 5 novembre, alle ore 12, presso il Molo Audace, l'iniziativa di preghiera interreligiosa per la pace: 15 minuti di silenzio rivolti verso il mare, verso il Medioriente. Verso il mare, verso l’orizzonte e l’infinito, in preghiera silenziosa, a gridare nel silenzio il dolore di tanti uomini e donne che piangono per le immani violenze che stanno insanguinando i popoli.
I tre rappresentanti delle comunità religiose, assieme a quelli delle altre Chiese cristiane e confessioni religiose della città,
invitano a partecipare a un momento in cui insieme si possa testimoniare senza bandiere, senza discorsi, senza striscioni. "Chiediamo il silenzio, esprimiamo insieme il dolore per quanto sta succedendo, stando gli uni a fianco degli altri.
Le previsioni dicono che ci sarà brutto tempo. Sì, è un brutto tempo il nostro, ma non ci scoraggiamo. Il dolore e il silenzio ci accomunano. E nel silenzio e nel dolore ognuno prega, consapevoli che Dio non vuole né questa né alcuna altra guerra. Ed è per questo che insieme vogliamo testimoniare il nostro dolore di uomini e donne di fede".