Uomini e donne di pace
ovvero
artigiani di pace nel quotidiano
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Maria, Regina della pace ci aiuti. Certo teniamo fisso lo sguardo su Gesù (Eb 12,2): lui è l’autentico Maestro e facciamo in modo che nessuno oscuri Lui e il suo insegnamento. Eppure abbiamo bisogno di qualche mediazione che ci ispiri nel tradurre il Vangelo oggi nella complessità e nei temi inediti di questo momento storico.
Quando c’era Gesù non c’erano le bombe atomiche e neppure le armi chimiche e batteriologiche anche se le sopraffazioni e violenze dei vari imperatori-re-dittatori e dei loro eserciti era ben nota. Non si poneva la questione ambientale e climatica perché c’era maggiore armonia tra l’uomo e la natura. E se la problematica dei profughi-deportati-schiavizzati era ricorrente oggi ha forme nuove e di esse ci sappiamo corresponsabili (la questione dei migranti, dei profughi, della tratta delle persone…).
Se guardiamo a Maria e Giuseppe impariamo la non violenza. Hanno preferito fuggire in Egitto perché perseguitati da Erode (come tanta gente dai nuovi Erode) ma non li vediamo aggressivi e lamentosi. Sono intraprendenti nel “difendere” Gesù bambino dall’orrore della violenza assassina, ma non li troviamo arrabbiati verso Dio perché permette a Erode di tiranneggiare Israele e le povere persone.
Se guardiamo a Maria e Giuseppe impariamo l’accoglienza. Hanno accolto il mistero di un Dio presente nello scandalo di una gravidanza misteriosa; hanno accolto i pastori e i magi dentro la povertà della grotta di Betlemme. Si accoglie dove si è, come si è, nella povertà di quello che si è. Senza fantasticare di trovarsi in condizioni migliori.
Se guardiamo a Maria e Giuseppe impariamo la pazienza. Non si può pretendere di estirpare subito tutto il male ma occorre lasciare che ci colpisca senza però divenirne complici. Oggi, anche perché allettati dalla tecnica che ha reso tutto possibile in breve tempo, non siamo più allenati alla pazienza, ad aspettare, a procedere con i tempi di chi ci rallenta. Siamo impetuosi, ci viene da lasciare indietro chi ci frena e così si creano fratture, contrapposizioni, divisioni, inimicizie.
Se guardiamo a Maria e Giuseppe impariamo la fantasia e l’inventiva. Ispirati da Dio tracciano vie nuove, inedite, scandalose rispetto a quanto fissato nella Legge. Non si può procedere solo applicando norme. Se si fossero osservati tutti i decreti religiosi… Gesù non sarebbe nato, e Maria sarebbe stata lapidata. C’è un bene maggiore che ci fa andare oltre la giustizia che le leggi cercano di comunicare e proteggere. C’è la giustizia di Dio a cui guardare e che provoca all’inaudito di amore, all’eccesso del sacrificio, al rischio dell’incomprensione di chi pure si pensa religioso.
Se guardiamo a Maria e Giuseppe impariamo a restare in ascolto di Dio. Non si può pretendere che tutto sia chiarito in un istante. La strada da percorrere per costruire la pace è lunga e come Maria e Giuseppe vediamo solo un tratto di strada per volta. Poi ci sono curve, tornanti pericolosi, valichi impegnativi, dirupi spaventosi. Anche tratti spopolati, in cui sperimentiamo la solitudine delle scelte, il rischio del perdere la vita perché ci si espone all’altro, alla sua fragilità, alla sua prepotenza facendosi appello e richiesta che si ravvivi in lui umanità e rispetto. Dio ci accompagna nell’inquietudine di fronte al male per scegliere se e come resistere, se e come fuggire, se e come sacrificarci.
A papa Francesco piace parlare di artigiani di pace, che costruiscono giorno per giorno la pace con le scelte quotidiane che portano a superare la ricerca degli interessi individuali o nazionalistici per abbracciare la scelta del noi, del bene comune. Occorre riabilitare prassi in cui insieme lavoriamo, insieme preghiamo, insieme affrontiamo il dolore e l’ingiustizia, insieme tessiamo trame di fraternità e di giustizia, di solidarietà e di pace. Insieme non vuol dire massa, folla, caos: piuttosto è l’antidoto all’individualismo per cui l’io è l’idolo; è antidoto al narcisismo per il quale gli altri sono rivali da sacrificare. Se camminiamo insieme significa che identifico l’altro come una risorsa, un arricchimento per i miei pensieri, per la mia umanità, per il mio riconoscere e amare Dio.
Si obietterà che l’altro spesso è una minaccia, è un pericolo, è un terrorista. Ed è vero. Ci serve al polizia e anche la magistratura. Ma essi da soli non rendono il mondo felice. C’è bisogno di recuperare la fiducia tra i popoli e le nazioni. Se tra russi e ucraini si fosse riusciti a creare dialogo e rispetto, se la minoranza linguistica fosse stata dignitosamente accolta e rispettata e tutelata da una parte come dall’altra, forse ci sarebbero state evoluzioni diverse. Se Israele e Palestina riuscissero a comprendere il dolore dell’altro, l’orrore del vedere morire innocenti i propri bambini, colpevoli solo di essere nati dall’altra parte del muro che divide chi è già corroso dall’odio, forse si cercherebbero vie alternative al fanatismo violento.
Essere artigiani di pace significa che ci proviamo di continuo, come fosse un’arte che richiede doti ma anche allenamento, originalità ma anche stile, metodo. Improvvisazione ma anche tecnica.
I santi sono artigiani di pace. Non possiamo pensare che il nostro apporto per la pace sia un mediocre mediare tra litiganti e violenti. Solo se con passione saremo sulle orme di Cristo, fissi con lo sguardo su di lui, tenaci nel resistere alla diffidenza che predispone all’aggressività. Solo se manterremo il cuore aperto allo Spirito di Dio sapremo medicare le ferite e riallacciare circuiti di fiducia, di compassione, di comprensione del dolore dell’altro, del suo patire ingiustizie per colpe che non ha lui commesso. Fino a quando faremo patire ai figli le colpe dei padri? I santi spezzano la catena del male preferendo essere vittime che carnefici, creativi nel perdono piuttosto che appiattiti nella vendetta. Di santi la pace ha bisogno. Di santi nelle famiglie, di santi nei luoghi di lavoro, di santi nelle comunità, di santi imprenditori, di santi politici, di santi preti.
E in effetti la pace è dono del Risorto e viene sparsa insieme allo Spirito Santo. Così ci è raccontato nel Vangelo (Gv 20,19ss). Così troviamo scritto nella vita di tanti uomini e donne.
La pace è stata immaginata, inventata, generata, ora va coltivata. COLTIVARE la pace è l’impegno di tutti e di ciascuno. Non facciamo deleghe.
✠ Enrico Trevisi
Vescovo di Trieste