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Santa Messa per il mondo del lavoro


DIOCESI DI TRIESTE


Santa Messa per il mondo del lavoro


✠ Enrico Trevisi


Capitaneria di Porto di Trieste, 30 aprile 2024



Cari fratelli e sorelle,
Amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre

Nel Documento preparatorio della 50ª Settimana Sociale dei Cattolici in Italia troviamo scritto:

“Partecipazione è sempre un campo di azione plurale, collettivo, comunitario, vitale, generativo, espressione di un «noi comunitario». È un campo accessibile, dove nessuno deve sentirsi escluso dalla possibilità di incidere nei processi cruciali per la difesa e la promozione del bene comune; dove nessuno può chiamarsi fuori dalle responsabilità condivise, ma deve poter mettere in gioco i suoi talenti per il bene del suo quartiere, della sua città, del suo paese”. “Nessuno può tirarsi indietro dalle proprie responsabilità”: San Giuseppe avrebbe potuto pensare: lasciamo fare a Dio. Lui ha voluto farsi carne, per opera dello Spirito Santo e allora io mi tiro indietro… e invece lo vediamo all’opera, anzi anche a sudare nel suo lavoro umile.

È forte l’espressione: “un campo di azione plurale, collettivo, comunitario, vitale, generativo, espressione di un «noi comunitario»”. È facile constatare come il lavoro sempre più oggi debba inquadrarsi in una prospettiva di un “noi comunitario”, nella quale con le diverse istituzioni (da quelle dello Stato con le sue varie articolazioni di enti di controllo e promozione dei diritti dei lavoratori e delle esigenze delle imprese alle varie organizzazioni dei lavoratori e delle imprese) siamo chiamati a dare forma alle esigenze di un lavoro degno, degno di chi lo compie e della società nella quale lo si vive.

Nessuno può tirarsi indietro pensando che spetti ad altri interessarsi del fatto che ci sia un lavoro degno per tutti. Degno nelle varie dimensioni che riguardano l’osservanza delle norme di sicurezza, ma anche tutte le svariate tutele che dicono il rispetto della persona e dell’impresa e della comunità nella quale si lavora.

Questa la prima osservazione. Il lavoro è così importante nella vita di una persona che tutti dobbiamo concorrere perché sia un tempo vissuto in modo degno.

Poi nel documento si afferma che la nostra cittadinanza in via di principio è legata al lavorare: il lavoro è una delle massime espressioni di partecipazione a costruire la società. Così si afferma:

"C’è un legame stretto tra partecipazione e lavoro. Siamo veramente cittadini e prendiamo parte alla vita di una comunità perché lavoriamo, lavoreremo, abbiamo lavorato, desideriamo lavorare e magari non ne abbiamo le possibilità. Poter godere di un lavoro dignitoso, riconosciuto, capace di far fiorire capacità e talenti, che consenta tempi di conciliazione con gli altri aspetti della vita (famiglia, figli, tempo libero, salute) è un nodo fondamentale di ogni democrazia, se abbiamo a cuore non solo la crescita economica ma soprattutto lo sviluppo integrale delle comunità e delle persone".

La partecipazione alla costruzione della comunità la cogliamo in relazione al lavoro ma in modalità molto diverse:
  • C’è chi sta lavorando
  • C’è chi ha già lavorato e ora è in pensione
  • C’è chi lavorerà, ma ora si sta formando nella scuola
  • C’è chi desidera lavorare ma non ha trovato il lavoro: sono i disoccupati e tutta la schiera di persone fragili in qualche modo espulse dal lavoro
  • C’è chi non ha la possibilità di lavorare: pensiamo ad alcuni disabili

Mi piace richiamare la responsabilità di noi tutti, nell’ottica di quel noi comunitario a cui prima accennavo, verso quei giovani che né studiano e né lavorano (i cosiddetti Neet). Non si tratta di dare semplicistici giudizi ma di cogliere che è davvero uno spreco che ci siano giovani che vivono senza partecipare alla costruzione della comunità attraverso la via maestra del lavoro.

Leggevo che “Il Friuli Venezia Giulia però si ritrova al quarto posto (a pari merito col Veneto) con il 14% di giovani Neet che non studiano né lavorano (Not in Education, Employment or Training) rispetto a una media Italia del 19,5%. Su scala nazionale i Neet sono ben 3 milioni, dei quali 1,7 donne: rappresentano il 25,1% dei giovani tra i 19 e i 34 anni, uno su quattro” (il Piccolo 23 aprile 2024).

Non possiamo permetterci di sprecare, perdere la vitalità e generatività di questi giovani. E non possiamo permetterci che loro restino ai margini e non partecipino attivamente e creativamente al bene della città e dunque a costruire il loro futuro e quello delle nuove generazioni.

Occorre un supplemento di riflessione e poi una revisione dei nostri modelli educativi e magari anche lavorativi se un’ampia percentuale di nostri giovani si smarrisce in attese o pretese che li portano a non reggere la responsabilità e l’impegno del lavoro. Non si può generalizzare, ogni storia di vita è differente. Ma il disagio che questi ragazzi esprimono mi interpella molto. La fede porta a non girarsi dall’altra parte quando si incontra chi fatica, chi è povero di motivazioni, di risorse anche psichiche per affrontare la vita.

Se oggi vogliamo onorare tanti uomini e donne che con i loro lavoro partecipano a costruire la nostra comunità, a maggior ragione siamo chiamati ad aver cura dei giovani disorientati, che hanno bisogno di essere aiutati a trovare la loro strada. Siamo chiamati ad intercettare il loro disagio, la loro fatica di vivere, a cogliere il loro grido riguardo al senso del lavoro e della vita.

La dimensione economica è importante (stipendi troppo bassi avviliscono) ma non sufficiente. Il lavoro nella vita di una persona non è tutto ma certamente contribuisce all’espressione di sé e della propria identità, è prolungamento dell’azione creatrice di Dio che passa attraverso l’ingegno umano, è contributo a costruire una società che ha come meta il bene comune.

Oltre al lavoro che ciascuno sta svolgendo oggi siamo chiamati ad educare i ragazzi e i giovani al senso e al valore del lavoro e a delinearne delle modalità che possano intercettare la passione e le energie di tanti giovani oggi disorientati.

San Giuseppe non è rimasto ad aspettare che Dio o altri facessero, avanzando chissà quante ragioni poteva rintracciare. Dobbiamo incoraggiare i giovani ad aver fiducia che ne vale la pena impegnarsi. Il papa a Venezia ha appena detto loro che è triste pensare a dei giovani che restano tutta la vita sul divano. Aiutiamo a vedersi come li vede Dio e ritroveranno la fiducia in se stessi e nella vita.