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Solennità di San Giusto martire


DIOCESI DI TRIESTE


SOLENNITÀ DI SAN GIUSTO MARTIRE
PATRONO DELLA CITTÀ E DELLA DIOCESI DI TRIESTE


✠ Enrico Trevisi


Cattedrale di San Giusto, 3 novembre 2024



Cari fratelli e sorelle, amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre

Un saluto a tutti, a Sua Ecc. Mons. Giampaolo Crepaldi, al popolo di Dio qui rappresentato e a quello che ci segue da casa (penso soprattutto agli ammalati e agli anziani), ai presbiteri e diaconi, alle autorità tutte che ringrazio per la loro presenza.
Molti contemporaneamente stanno pregando con noi nelle diverse Chiese parrocchiali.
Guardiamo a san Giusto: che interceda per la nostra città e la nostra diocesi. Per le famiglie, per i giovani, per chi sta male.
San Giusto lo penso come
un cittadino,
un credente,
un martire.
Sono i tre passaggi che vorrei richiamare a tutti voi.

San Giusto è un cittadino.
Dal 3 al 7 luglio abbiamo vissuto la Settimana sociale dei cattolici in Italia, iniziata con l’intervento del Presidente Mattarella e culminata con la Santa Messa presieduta da papa Francesco. La città è stata animata da tanti eventi: dai villaggi delle buone pratiche e alle piazze della democrazia.
Mi piace pensare a san Giusto come a un cittadino che non ha fatto mancare il suo apporto per costruire la città. La tradizione ce lo presenta come un uomo conosciuto per le sue opere e le sue elemosine. La fede non si riduce a un sentimento ma è vita che si esprime in tutte le dimensioni, e dunque anche nelle opere e pure nella carità verso i poveri. Nella settimana sociale siamo stati sollecitati a prenderci cura della città, a partecipare attivamente e nelle forme più svariate e in tutte le direzioni.
Il Papa ha parlato della crisi della democrazia come di un cuore ferito, infartuato. E ha aggiunto: “Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani, i vecchi. Questo è la cultura dello scarto. Il potere diventa autoreferenziale – è una malattia brutta questa –, incapace di ascolto e di servizio alle persone”.
Mi piace pensare a San Giusto come a un cittadino che si è dato da fare con le opere e con la carità. Non viene ricordato come uno che si distingueva per le polemiche ma come uno che viveva facendo del bene, prendendosi cura dei poveri.
Talvolta, è così in tutto il mondo e anche a Trieste, si rischia di scivolare in riletture dove tutto è polemica e scontro. Dove fatichiamo a convertirci ad uno stile di confronto sereno e aperto, a un dialogo delle buone pratiche che non devono essere interpretate contro qualcuno, ma a favore del Bene comune, a favore di chi rischia di essere scartato. Il Papa faceva un elenco, che se anche è parziale, ci dice di un’attenzione alle persone mantenendo un cuore aperto a tutti coloro che faticano e soffrono: “i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani, i vecchi”. A me piace una comunità cristiana che sull’esempio di San Giusto è parte viva della città e si spende coraggiosamente per le persone vulnerabili. Non con lo spirito partitico, di una parte contro l’altra, ma nella ricerca delle tracce del Dio incarnato nella storia di tanti crocifissi che ci abitano a fianco, che ci camminano a fianco. Il Papa ci ha detto: dal parteggiare al partecipare, dal “fare tifo” al dialogare.
Le ideologie sono seduttrici”, ci ha detto papa Francesco. E per questo ha richiamato i principi della dottrina sociale della Chiesa, e in particolare i principi di solidarietà e sussidiarietà, con i quali i legami si rafforzano e le persone sono valorizzate: “ogni persona ha un valore; ogni persona è importante”. Anche quelle che talvolta ci scomodano, anche quelle che talvolta ci imbarazzano perché sovvertono i nostri schemi prevenuti.

San Giusto è un credente.
Tutti siamo credenti. C’è chi crede nel Vangelo di Gesù Cristo, chi in un qualche altro Dio, chi nel denaro, chi in sé stesso, erigendosi a idolo di se stesso. Io di persone che non credono in un qualcosa non ne conosco. San Giusto crede in Gesù Cristo. Ed è per questa sua fede – che ha generato ammirazione e fraternità – che noi siamo qui.
Riporto ancora alcune parole del Papa: “La fraternità fa fiorire i rapporti sociali… Non lasciamoci ingannare dalle soluzioni facili. Appassioniamoci invece al bene comune”.
Come cattolici, in questo orizzonte, non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata. Ciò significa non tanto di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico. Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. No. Dobbiamo essere voce, voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce”.
La fede in Gesù mi rende libero dalla preoccupazione del mio successo individuale, e dunque libero di prendermi cura dei fratelli. Libero di rischiare la vita nell’amore, come Gesù. Liberi anche di andare oltre i pregiudizi del tempo, per osare con Gesù lo scandalo dell’amore evangelico. Fino a dare totalmente noi stessi: nell’essere appassionati per la vita, per il bene comune, per la pace e la giustizia, per dare compagnia ai malati, nel rilanciare attenzione alle famiglie, nell’affrontare l’inverno demografico, nello sfidare l’emergenza freddo... Saperci amati da Dio ci consente di essere generosi e coraggiosi. Pazzi di amore, come san Francesco, come santa Teresa di Calcutta, come san Giusto.
Da san Giusto - il chicco di grano, caduto in terra e che dà molto frutto (Gv 12,24) - impariamo a credere in Gesù smisuratamente: Gesù ci rivela il volto del Padre e dunque il volto del vero Dio: il Dio che ci ama e vuole la nostra vita, la nostra pienezza di vita; ed è Lui che ci rivela come guardare ai fratelli e uscire dallo stereotipo dello scontro, dell’essere gli uni contro gli altri. Credere in Gesù ci fa liberi dalle ideologie, liberi dal consenso a tutti i costi (anche a prezzo delle menzogne), liberi di spenderci nell’amore, fino a dare la vita (Gv 12,25).

San Giusto è un martire.
Di fronte alle prepotenze del suo tempo San Giusto non è indietreggiato. Ha continuato a professare la sua fede in Gesù Cristo e a vivere spargendo buone opere e carità. Non possiamo continuare a ripetere che i nostri sono tempi difficili, quasi a giustificarci di una fede vissuta con mediocrità, anteponendo ad essa lo spirito del mondo. San Giusto vive la sua appartenenza a Gesù fino a morire martire, cioè a morire amando Dio e il prossimo. Oggi assistiamo a tante persone che muoiono sia nelle guerre come nella criminalità organizzata ma anche in relazioni malate che ci sono talvolta tra uomini e donne. E altre persone che muoiono mentre il mondo resta indifferente e distratto!
Ci sono peccati e strutture di peccati che come cristiani siamo chiamati a denunciare, anzitutto con la nostra testimonianza, fino a diventare martiri. Gesù è stato chiaro: “A tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà»” (Lc 9, 23-34).
Niente di meno di questo: dare la vita con Gesù, nel nome di Gesù. San Giusto questo insegna anche oggi a tutta Trieste. Non una fede mediocre, non una fede tiepida e accomodante. Invece una fede viva, appassionata, radicale, coraggiosa, entusiasta, contagiosa. Consapevoli che nulla, “né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire … potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rom 8,38-39). Come ci insegnano anche tanti cristiani del nostro tempo, martiri in tante parti del mondo anche in questo nostro tempo.

San Giusto
da te impariamo il coraggio della fede autentica e viva,
l’audacia di amare Cristo e i fratelli fino al dono di noi stessi.
E ci ritroveremo beati, con te, nella comunione in Cristo.
Lieti e liberi di essere nel mondo segni della vita che vince la morte
dell’amore che spegne il peccato e ogni violenza e ogni indifferenza
della fraternità che sa espandersi come fragrante profumo di pane spezzato
e abbracciare tutti. Proprio tutti.