Catechesi d'Avvento
Il cammino sinodale della Chiesa in Italia. A che punto siamo?
✠ Enrico Trevisi
San Lorenzo martire, 1 dicembre 2024
Cari fratelli e sorelle, amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre
Tra il 15 e il 17 novembre, nella Basilica papale di San Paolo Fuori le Mura, si è tenuta la Prima Assemblea Sinodale delle Chiese in Italia. Non nascondo che c’è stata emozione nel ritrovarci in circa 1000 persone (uomini e donne, giovani e anziani, preti e laici, religiosi e religiose, diaconi e vescovi…) provenienti da tutte le Chiese italiane e ciascuno con il bagaglio delle proprie esperienze e appartenenze. Tutti accomunati dal desiderio di ascoltare, pensare, cogliere quanto lo Spirito suggerisce per il bene delle nostre Chiese.
Nel contesto di San Paolo Fuori le Mura c’è stata tanta emozione, pensando – cito il cardinal Matteo Zuppi – “al Concilio Vaticano II che questa Basilica ha visto nascere con l’annuncio dato da san Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959. «Il Concilio che inizia – spiegava nel celebre discorso Gaudet Mater Ecclesia – sorge nella Chiesa come un giorno fulgente di luce splendidissima. È appena l’aurora: ma come già toccano soavemente i nostri animi i primi raggi del sole sorgente! Tutto qui spira santità, suscita esultanza» (Discorso per la Solenne apertura del Concilio, 11 ottobre 1962)”.
Papa Paolo VI, riferendosi al mosaico dell’abside di San Paolo Fuori le Mura, “davanti ai Vescovi del Concilio Vaticano II, riuniti all’inizio della seconda sessione, diceva: «Cristo presiede e benedice l’assemblea riunita nella Basilica, che è la Chiesa. Questa scena sembra riprodotta nella nostra assemblea» (29 settembre 1963). Il libro aperto di Cristo – come ha spiegato l’Abate Ogliari nel video introduttivo – mostra le parole del Giudizio, che sentiamo così vero oggi e che sarà quello della nostra vita, personale e di Chiesa: «Venite, benedetti dal Padre mio, a ricevere il regno che vi è stato preparato dalla fondazione del mondo»” (Zuppi, intervento del 15.11.2024).
Abbiamo potuto sperimentare che il Cristo davvero presiedeva e benediceva questa grande esperienza di Chiesa, che anzitutto si è messa in preghiera, in ascolto della Parola di Dio e in ascolto reciproco, gli uni degli altri.
Ascoltare è impegnativo. Vorrei dire faticoso, quando si fa attento, empatico, proteso a sintonizzarsi su quanto lo Spirito suggerisce anche attraverso la voce dei fratelli e delle sorelle. Ci sono state relazioni, ma anche lunghe ore di gruppi di studio: circa 100 tavoli di 10 persone ciascuno, riuniti a rielaborare schede sul testo dei Lineamenti. Il frutto di questo lavoro porterà ad affinare e consegnare alle diocesi delle schede di discussione in vista del lavoro della seconda Assemblea sinodale che si terrà a primavera.
Il cammino sinodale della Chiesa italiana
Nell’Assemblea sinodale si è vissuto un clima di grande intensità spirituale, dove, nella reciproca stima e fiducia, si è respirato a pieni polmoni secondo la visione ecclesiologica del Vaticano II e alla scuola del magistero di papa Francesco e in continuità con quello dei papi precedenti. Ora non sto a riassumere il Cammino sinodale della Chiesa in Italia con le tre fasi (narrativa, sapienziale e profetica) con i metodi della “Conversazione spirituale” e dei “Cantieri di Betania”. Vorrei solo riprendere l’idea di fondo espressa nella prima parte, intitolata: “L’orizzonte missionario nello stile della prossimità”.
Il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, pur presentando tanti indici di criticità, di crisi ecclesiale e religiosa, lo si è interpretato come una sfida, come un’occasione, come una spinta alla riforma del nostro essere cristiani e Chiesa. Non siamo più nel regime di cristianità – spesso il Papa ce lo ricorda – eppure noi crediamo che il Signore Gesù è risorto e vivo in mezzo a noi e che il suo Spirito continua a operare nella storia.
Se vogliamo misurare l’efficacia dell’annuncio con i criteri umani (riscontri, conteggi, successi…) siamo umiliati per i nostri fallimenti: e così ci apriamo al Dio che ha scelto l’umiliazione della carne umana. Si è fatto uomo in una stalla, a Betlemme, entrando nella storia di questo piccolo popolo pure umiliato continuamente da oppressioni e peccati.
Non vogliamo cedere a visioni pessimistiche e depressive. Cogliamo tanti germogli dello Spirito. Vorremmo avere la fiducia, la fede e il coraggio degli inizi della Chiesa. E dunque il vigore di un’opera missionaria nuova, dentro questo nostro contesto storico.
Se ci limitiamo a fare la rassegna delle crisi – economica, climatica, migratoria, sanitaria, geopolitica, demografica – e delle implicazioni che hanno sulla Chiesa scadiamo nel pessimismo. ma anche nell’errore del ragionare solo in termini mondani, come se la Chiesa fosse un’azienda. Come i primi discepoli non abbiamo facili soluzioni teoriche e pratiche, ma abbiamo la possibilità che da noi (dalle nostre comunità e dalle nostre persone) traspaia la luce della Pasqua. Non si possono aggirare la stalla di Betlemme e nemmeno il Golgota e il sepolcro e dunque gli ambiti delle sofferenze e delle miserie umane. La storia di carità e di opere di misericordia, la storia dei tanti santi della porta accanto di cui la Chiesa è piena ci dice che anche oggi siamo chiamati a rinnovarci: da qui l’esigenza di una riforma missionaria delle comunità cristiane.
Si insiste sulla necessità di una missione nello stile della prossimità. Si tratta di dare più spazio alle relazioni concrete. Che vuol dire scegliere la logica della profondità piuttosto che quella dell’estensione; della cura della qualità piuttosto che la smania della quantità, delle relazioni personali piuttosto che il rigore dell’organizzazione. Si tratta di raccogliere la sfida del seminatore, lasciando a Dio il compito del raccolto finale. A noi prenderci cura del buon grano, pazientando se il diavolo semina la zizzania (Mt 13,24ss). Con la nostra esistenza si tratta di dire che Cristo è il Signore, il nostro Salvatore. Lo stile è quello delle Beatitudini, quello del Vangelo vissuto. Dunque uno stile che fa emergere la “differenza cristiana” dentro la concretezza delle relazioni per cui chi è marginalizzato, escluso, penalizzato si ritrova ad essere cercato e amato perché ritrovi la sua dignità e possa essere una risorsa per tutti.
Si tratta di rimetterci in discussione come Chiesa, accettando anche la purificazione, la conversione che ci consente di ridare nuova linfa al nostro essere discepoli-missionari.
Tre sono le dimensioni della riforma missionaria che sono state delineate: comunitaria, personale, strutturale. Riporto le parole dei Lineamenti.
“Non si tratta di fasi successive, ma di aspetti che interagiscono e si influenzano a vicenda. La dimensione comunitaria è la cura delle relazioni, la «conversione ecclesiale» (cf. Evangelii Gaudium 26), la cui misura è la fraternità/sororità effettivamente vissuta, che supera la concorrenza e la violenza e fa maturare dall’interno un mondo nuovo (cf. Fratelli tutti). La dimensione personale è la biblica “conversione del cuore”, per la quale ciascuno deve assumere la propria responsabilità; è il passaggio dal peccato alla grazia, dall’egoismo alla carità, dall’uomo vecchio all’uomo nuovo; è la santità, la dimensione “mistica” della fede, senza la quale nessun cambiamento è efficace e duraturo (cf. Gaudete et exsultate). La dimensione strutturale è l’adeguamento degli strumenti e degli assetti organizzativi, che devono essere sempre a servizio dell’evangelizzazione e testimonianza della carità e non di freno ad esse. Così il Papa intreccia le tre dimensioni: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia» (Evangelii Gaudium 27)”. (Lineamenti 12).
Il cardinal Zuppi nel suo intervento esortava a dialogare e a fare qualcosa insieme… e poi richiamava il tema della guerra: “Siamo confrontati con ingiustizie insopportabili, ad iniziare dalla guerra, alle quali non vogliamo abituarci. Non possiamo accettare che sia la logica del più forte o del più furbo a prevalere. E verrebbe da domandarci se non preghiamo troppo poco per la pace in un mondo così sconvolto dalla guerra. La guerra, i cambiamenti degli scenari politici, le forze occulte e i poteri di interessi economici stanno rimescolando, in maniera non facilmente prevedibile, gli assetti del mondo, tanto che si ha la sensazione di essere una barca sbattuta dai venti in un mare in tempesta. I combattimenti appaiono lontani dai nostri Paesi ma il clima conflittuale non è lontano”.
Accogliamo questa sfida di essere chiesa missionaria in stile di prossimità, e accogliamola anzitutto pregando per la pace e per diventare uomini e donne di pace. Artigiani di pace. Ognuno di noi, nelle relazioni e negli ambienti in cui siamo inseriti.