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Santa Messa della notte nella solennità del Natale del Signore

 
 

DIOCESI DI TRIESTE


Solennità del Natale del Signore


Santa Messa della notte


✠ Enrico Trevisi


Cattedrale di San Giusto, 25 dicembre 2024



Cari fratelli e sorelle, amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre

A Roma è iniziato l’Anno Santo. In esso cammineremo aperti alla speranza. Ma la speranza è solida se si fonda sulla fede. Papa Francesco qui a Trieste il 7 luglio ci ha detto:

Abbiamo bisogno dello scandalo della fede. Non abbiamo bisogno di una religiosità chiusa in se stessa, che alza lo sguardo fino al cielo senza preoccuparsi di quanto succede sulla terra e celebra liturgie nel tempio dimenticandosi però della polvere che scorre sulle nostre strade. Ci serve, invece, lo scandalo della fede, – abbiamo bisogno dello scandalo della fede – una fede radicata nel Dio che si è fatto uomo”.

Il Papa ha parlato dello scandalo della fede, che è anche in un Dio che si è fatto uomo, e dunque bambino, piccolo, vulnerabile. Guardando a questo Dio che si è fatto bambino capiamo cosa vuol dire “una fede che entra nella storia, che accarezza la vita della gente, che risana i cuori spezzati, che diventa lievito di speranza e germe di un mondo nuovo”. Davanti al presepio comprendo che l’incarnazione del Figlio di Dio rivela che questa umanità fragile è nel cuore di Dio. E noi siamo chiamati alla rivoluzione dell’amore: non la ricerca dei falsi idoli, ma l’imparare dal Dio che ha assunto la carne umana. E si tratta di una fede sveglia, inquieta, capace di prendersi rischi. Così ha proseguito il Papa:
“È una fede che sveglia le coscienze dal torpore, che mette il dito nelle piaghe, nelle piaghe della società – ce ne sono tante –, una fede che suscita domande sul futuro dell’uomo e della storia; è una fede inquieta”.

Auguro a tutti l’inquietudine di una fede che sa porre le domande giuste sul futuro dell’uomo e della storia e anche sul futuro di ciascuno di noi.

Il Papa dice: “una fede inquieta che aiuta a vincere la mediocrità e l’accidia del cuore, che diventa una spina nella carne di una società spesso anestetizzata e stordita dal consumismo”.

Guardo al mistero di Dio che si fa uomo e mi sveglio dal torpore del consumismo e dalla pigrizia del cuore. E mi domando: come sto vivendo? Che posto ha Dio nella mia vita? Il Dio che si fa piccolo e fragile quando invece spesso siamo attratti dal volerci imporre gli uni sugli altri, anche in famiglia, anche nelle comunità, anche nelle classi e nei luoghi di lavoro. La competizione diventa una gara continua che distrugge la fiducia, che impone di vedere l’altro come un avversario, un nemico. E poi evadiamo dall’ansia di prestazione e competizione nello stordimento del consumismo… che lo abbiamo degradato a droga leggera, accettandolo come inevitabile per far girare l’economia: ma di fatto ci ha anestetizzato il cuore. Pensiamo alla gigantesca differenza tra quanto sprechiamo nel consumismo rispetto alle briciole che diamo in carità. Alla sproporzione, anche in noi credenti, tra ciò che spendiamo in consumi effimeri senza provare il piacere, il gusto del dare, del donare ai poveri. Quanto tempo sperperiamo nel consumo di beni effimeri e quanto poco tempo nelle relazioni di qualità con chi è fragile: malati, anziani, bambini, giovani, la coppia che non riesce ad avere figli, chi è stato abbandonato dal coniuge, chi è caduto in depressione…

Ho detto relazioni di qualità, non relazioni funzionali a cui siamo obbligati, ma relazioni di gratuità nel piacere del condividere la vita e quanto di essa – con la nostra fede inquieta – abbiamo capito.

Il Papa ha ammonito: “Avete pensato, voi, se il consumismo è entrato nel vostro cuore? Quell’ansia di avere, di avere cose, di averne di più, quell’ansia di sprecare i soldi. Il consumismo è una piaga, è un cancro: ti ammala il cuore, ti fa egoista, ti fa guardare solo te stesso”.

Vi auguro una fede che davanti a Gesù bambino – il Dio che si espone all’umiltà e anche al nostro rifiuto – “spiazza i calcoli dell’egoismo umano”. I nostri calcoli devono essere spiazzati e solo allora sapremo testimoniare una vita diversa, nuova, fondata sull’amore evangelico, capace di denunciare le ingiustizie e di far luccicare la speranza.

Ritroviamo la gioia di essere generosi con la nostra Caritas che ha bisogno di sostegno e aiuto per raggiungere tante persone fragili. E anche di sostenere la nostra diocesi che fatica, affondata dai debiti.

Ma concludo ritornando al Papa che, tramite Umberto Saba, ci riporta sulle strade di Trieste. Il poeta rincasando di sera, attraversando “una via un po’ oscura, un luogo di degrado dove gli uomini e le merci del porto sono ‘detriti’, cioè scarti dell’umanità” sa ritrovare «l’infinito nell’umiltà», perché la prostituta e il marinaio, la donna che litiga e il soldato, «sono tutte creature della vita e del dolore; s’agita in esse, come in me, il Signore» (U. Saba, «Città vecchia», in Il canzoniere (1900-1954) Edizione definitiva, Torino, Einaudi, 1961).

Guardo la povertà in cui Dio si è cacciano in quella stalla di Betlemme e ripenso all’Infinito e all’Onnipotente che si mostra nell’umiltà del bambino Gesù, la luce non accolta. La luce rifiutata. E desidero mettermi sulle tracce di Dio che ancora si fa incontrare: “Dio si nasconde – ci ha detto il Papa – negli angoli scuri della vita della nostra città… La sua presenza si svela proprio nei volti scavati dalla sofferenza e laddove sembra trionfare il degrado. L’infinito di Dio si cela nella miseria umana, il Signore si agita e si rende presente, e si rende una presenza amica proprio nella carne ferita degli ultimi, dei dimenticati, degli scartati. Lì si manifesta il Signore”.

“E a questa Chiesa triestina vorrei dire: Avanti! Avanti! Continuate a impegnarvi in prima linea per diffondere il Vangelo della speranza!”.

Auguro a tutti, alimentati da questa Eucaristia, di saper riconoscere la presenza amica di Dio negli umili e negli umiliati. E di saper godere della sua compagnia.

Auguro a tutti Buon Natale. Auguro a tutti Buon Anno Santo. Avanti, camminiamo insieme, come pellegrini di speranza.