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Santa Messa di apertura dell’Anno Giubilare in Diocesi

 
 

DIOCESI DI TRIESTE


Apertura dell'Anno Giubilare in Diocesi


✠ Enrico Trevisi


Cattedrale di San Giusto, 29 dicembre 2024



Cari fratelli e sorelle, amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre

Guardo a Maria e Giuseppe nella stalla di Betlemme e penso ai tanti genitori umiliati dalla vita per non aver saputo dare ai propri figli ciò che desideravano, ciò per cui tanto si erano impegnati, ciò che corrisponde al volere di Dio. Guardo a Maria e Giuseppe mentre devono scappare profughi in Egitto o mentre a Gerusalemme cercano Gesù che si è trattenuto nel tempio e faticano a comprendere il mistero di quel Figlio. Oggi l’umiliazione di tanti genitori si ripete per i motivi più diversi. A volte il lavoro precario e poco retribuito; altre volte i limiti che la vita impone con malattie e fragilità, sia dei genitori come dei figli. Se poi è una famiglia numerosa i rischi di povertà aumentano. Spesso si è vittime di contesti degradati, in povertà croniche, dove sono spariti anche i cosiddetti “ascensori sociali”: chi è povero resta condannato a vita nella gabbia della povertà. A ciò si aggiungono gli effetti nefasti di un mondo di guerre, di ingiustizie, di accoglienze mancate, di paure che paralizzano e fanno chiudere le porte anche davanti alle donne incinte, ai bambini sfiniti. Sono questi esempi di speranze deluse, infrante, rubate.

In questo cammino di Maria e Giuseppe, come in quelle di tanti genitori umiliati, abbiamo la descrizione dell’amara realtà della storia. E in queste vicende di prevaricazioni e di degrado sociale e politico irrompe la luce dell’Emmanuele, il Dio con noi. Appare la luce che dà speranza.

Gesù è la luce che dà speranza al nostro peregrinare nelle vicende lieti e tristi della storia. “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv 14,1).

Nella vita, nella vita di fede, non siamo turisti viaggiatori, non siamo vagabondi e nemmeno degli esiliati costretti a lasciare la patria. Noi siamo pellegrini e pellegrini di speranza.

Se guardiamo a Maria e a Giuseppe certamente tutti concordiamo che non sono turisti, niso turisti.
A noi piace essere turisti: viaggiare per diletto, sapendo però che abbiamo una casa con tutti i nostri comfort: e quando siamo per un po’ troppo lontani abbiamo la nostalgia della nostra camera e delle nostre abitudini; ma quando siamo a casa presto ci viene la voglia dell’esotico e del nuovo da scoprire o della vacanza da godere che nemmeno il ristorante etnico sotto casa riesce a debellare. Viaggiare con un po’ di avventura ma anche con tutte le assicurazioni del caso. È il mito della vita come un’eterna vacanza spensierata, dove spegnere ogni responsabilità e ogni anelito di impegno e di giustizia. Ripiegati sul nostro benessere individuale. Ma non è questo il peregrinare di Maria e di Giuseppe.

Noi non siamo vagabondi, nismo vagabundi: i vagabondi sono sempre guardati con sospetto, proprio perché senza una casa di riferimento, una responsabilità da esercitare, una meta che li autorizza a muoversi. Hanno in sé qualcosa di pericoloso, di inquietante. Avere una casa, una famiglia, un lavoro dice di una affidabilità, di una partecipazione a costruire una comunità. Eppure talvolta la libertà sbarazzina dei vagabondi attira… forse a dirci che non si può avere radici che impediscono l’avventura del mettersi in cammino e incontrare il nuovo, anche il nuovo che viene da Dio. Il nuovo che sono gli altri, dono che Dio mi fa.

L’esiliato è la figura di Israele condotto a Babilonia, è la memoria della tragedia dell’Istria e della Dalmazia. Vuol dire la violenza con cui si è costretti a partire e a lasciare tutto e a vivere con la ferita di essere stati strappati dalla propria terra. Ci sono preghiere e testi di spiritualità (come la lettera a Diogneto) che ci dicono che siamo in una condizione di esilio, che la nostra Patria è nei cieli, che qui siamo come forestieri e immigrati. Ma poi nella fede siamo chiamati a scoprire che ovunque noi siamo in famiglia, circondati da fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre. Non siamo abbandonati: Dio ce lo ha assicurato: “Io sono con te - Jaz sem s teboj”.

Con Maria, con Giuseppe e con Gesù noi siamo pellegrini di speranza. Ovunque, anche dentro le fatiche delle varie stagioni della vita: noi siamo in cammino, ma con la presenza rassicurante del Signore, che mai ci abbandona. In quest’Anno Santo invito ciascuno ad aprire il cuore al Signore, a coltivare il proprio personale rapporto con il Signore. Anche a te ripete: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Tu hai il potere di aprigli il tuo cuore.

Auguro a ciascuno un anno di ininterrotto pellegrinaggio interiore, in cui sempre ci rimettiamo dietro al Signore, con lo sguardo fisso su di Lui, Admirantes Jesum. E anche quando siamo stanchi impariamo a saperlo riconoscere al nostro fianco. E quando siamo caduti lui si fa Cireneo e ci rialza.

Il pellegrinaggio di speranza ha alcune caratteristiche:

- Abbiamo una meta: è la piena comunione con il Signore che ora ancora sospiriamo; eppure già ora possiamo godere della sua pace, la vera pace, che è dono del Risorto ai suoi discepoli. Perché già ora pregustiamo qualcosa di questa comunione: per esempio quando viviamo la nostra autentica interiorità. L’ascolto del Signore, i sacramenti, la carità sincera.

- Lo facciamo con le nostre gambe (c’è qualcosa che compete a ciascuno di noi) ma anche insieme, come in famiglia: vogliamo sperimentare l’essere Chiesa, il camminare insieme, nel reciproco sostenerci e aiutarci. E faccio ancora appello al volontariato, alla gratuità del servizio e del prendersi cura gli uni degli altri.

- Lungo il nostro peregrinare ci sono esperienze di ristoro, oasi in cui riprendere energie: diamo spazio alle varie proposte per alimentare la nostra fede e la nostra spiritualità e la riconciliazione con Dio e con i fratelli. Osiamo spendere tempo per la nostra vita interiore, per la cura della nostra spiritualità.

- Il pellegrinaggio non ci esime, anzi ci sprona all’impegno per la giustizia, per una vita in comunione con il Signore ma che passa per la comunione con ammalati, disabili, vicini di casa, familiari, colleghi, poveri, profughi, scartati…. Moltiplichiamo i segni concreti che siamo nel cammino del Signore e non vagabondi pericolosi e inaffidabili.

Buon Giubileo a tutti. Faremo tante iniziative in diocesi, e altre a Roma. Ma ciascuno sia gioioso pellegrino di speranza in ogni suo giorno, in ogni sua relazione. Aprite gli occhi e riconoscete che il Signore sarà al vostro fianco, in ogni vostro passo, per sostenervi, per correggervi, per incoraggiarvi, per rialzarvi. Ecco la speranza. “Non temere: Io sono con te”, ti ripete anche oggi il Signore, fondamento della nostra speranza.