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Giubileo degli ammalati, dei disabili e del mondo della sanità


DIOCESI DI TRIESTE


Giubileo degli ammalati, dei disabili e del mondo della sanità


✠ Enrico Trevisi


Trieste – Santuario di Monte Grisa, 5 aprile 2025



Cari fratelli e sorelle, amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre

Il vangelo ci mostra una scena raccapricciante: al peccato segue la scelta di uccidere il peccatore / la peccatrice. Ma arriva Gesù. Aiuta tutti a riconsiderare il vero progetto di Dio, che è un rimetterci sulla strada del bene. Lui è il salvatore e chiede noi il coraggio di intraprendere tutti una via di salvezza: sia chi ha commesso il peccato di adulterio sia chi ha commesso altri peccati, che non è detto che siano meno gravi.
Qui siamo a celebrare il Giubileo degli Ammalati, dei disabili e del mondo della sanità. Di chi ha bisogno di cura e di chi si rende cura: accomunati dalla speranza che ci fa guardare al futuro sapendo di essere accompagnati da Dio.
Papa Francesco, nella sua malattia, lo sentiamo particolarmente vicino. Nella bolla di indizione del Giubileo ha scritto: “Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé.
L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio” (n. 1). Queste parole a maggior ragione riguardano le persone malate, vulnerabili e chi le assiste.
Tante cose del nostro futuro non le conosciamo. Ma siamo qui per confessare che Dio ci resta vicino. “Io sono con te”, lo ripete a ciascuno di noi! E in modo sorprendente sempre ci accompagna. Nella prima lettura (Is 43,16-21) abbiamo ascoltato quanto l’azione di Dio superi la nostra immaginazione. Il Signore sa aprire una strada nel mare, sa aprire un sentiere in mezzo ad acque possenti. Sa far germogliare il deserto, sa aprire una strada nel deserto…
Non è detto che avvenga il miracolo per cui lo scienziato non riesce a spiegare l’improvvisa guarigione; qui c’è un mistero che talvolta ci supera e per il quale balbettiamo. Invece – quel che è certo – è che può sempre avvenire è il miracolo che i nostri cuori e le nostre relazioni siano risanate.

Gesù ci sorprende tante volte: per esempio al paralitico (Mc 2,1-12; Mt 9,1-8; Lc 5,17-26) che viene guarito dice che la questione più grave è quella del peccato, e che anche lui deve stare attento a non peccare più. A noi questo passaggio urta: ci viene da pensare che poverino era già sofferente, perché mettere il dito sul suo peccato. E invece Gesù vuole la guarigione del corpo (e ringraziamo tutti i medici e tutto il personale di cura che sono espressione del desiderio di Dio che ogni persona sia possibilmente guarita e certamente e sempre curata) ma soprattutto Gesù ci dice che vuole la guarigione dei nostri cuori induriti, vuole la nostra salvezza. Vuole che siamo guariti dal peccato!
Siamo chiamati ad aiutarci. Non solo a prenderci cura del corpo ma anche della nostra vita spirituale, quella che ci consente di vivere in comunione con Dio in ogni circostanza della vita, anche nel tempo della malattia, della disabilità, della vecchiaia. È la vita spirituale risanata dalla Grazia del Signore che ci abilita a relazioni risanate, a vivere la precarietà della vita potendo contare gli uni sugli altri, a sperimentare che la fraternità evangelica è possibile. Talvolta è impegnativa, ardua. Ma Gesù non ci abbandona.
Il Giubileo è questo tempo forte per riprendere il cammino, come pellegrini di speranza, dentro la vita reale, che è fatta anche di fragilità, di limiti, di malattie, di vecchiaia. Dentro la vita reale, come la stiamo vivendo, siamo chiamati a camminare nella speranza e a non sciupare il tempo, le occasioni per vivere l’incontro con Dio.

Afferma ancora papa Francesco: “La speranza, infatti, nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce: «Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita» (Rm 5,10)” (Ivi n. 3).
Il papa parla anche di “segni di speranza” che vanno offerti agli ammalati: “Le loro sofferenze possano trovare sollievo nella vicinanza di persone che li visitano e nell’affetto che ricevono. Le opere di misericordia sono anche opere di speranza, che risvegliano nei cuori sentimenti di gratitudine. E la gratitudine raggiunga tutti gli operatori sanitari che, in condizioni non di rado difficili, esercitano la loro missione con cura premurosa per le persone malate e più fragili” (n. 11). Voglio ringraziare tutti gli operatori sanitari e tutti i volontari. Anche quei giovani che proprio ora stanno facendo in ospedale un incontro per diventare volontari accanto agli ammalti e ai loro familiari. E affidiamoli al SIGNORE.
“Non manchi l’attenzione inclusiva verso quanti, trovandosi in condizioni di vita particolarmente faticose, sperimentano la propria debolezza, specialmente se affetti da patologie o disabilità che limitano molto l’autonomia personale. La cura per loro è un inno alla dignità umana, un canto di speranza che richiede la coralità della società intera” (n. 11). È consolante sapere che non ci siamo solo noi, ma ci sono tante persone che si danno da fare: noi siamo chiamati ad essere come il lievito perché tutta la comunità si svegli nell’essere accanto a malati e disabili.
Vorrei dire a tutta Trieste che affiancarci agli ammalati e agli operatori sanitari non è un qualcosa di facoltativo. Ne va del nostro essere cristiani. Tutti conosciamo malati e disabili. Tutti siamo chiamati a “farci prossimo” nel senso di darci il tempo per camminare al loro fianco, per sostare accanto a loro, per alimentare la comune speranza che la nostra vita è una benedizione di Dio, anche quando è faticosa. Essa resta la possibilità di amarci e di testimoniare che Dio ci accompagna e che poi Dio ci aspetta in una pienezza di vita dove finalmente non ci saranno più malattie, sofferenze e lacrime, ma soltanto l’amore.
Quell’amore che ora siamo chiamati ad imparare e che può essere la ragione di ogni nostro giorno, anche di quello più faticoso. «Sono amato, dunque esisto; ed esisterò per sempre nell’Amore che non delude e dal quale niente e nessuno potrà mai separarmi» (n. 21).