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CULTURA

Cappella Madre della Riconciliazione - La Risiera, le Foibe e la riconciliazione

 
 

Trieste, città della riconciliazione

La cappella di via Cavana, mentre custodisce come abbiamo visto un capitolo significativo della storia contemporanea di Trieste, è destinata a coltivare il bene prezioso della riconciliazione non solo nelle sue implicazioni religiose, ma anche in quelle strettamente culturali, sociali e politiche. Lo farà, valorizzando a fondo la prospettiva biblica secondo la quale la pace non è assenza di guerra, ma armonia con Dio e pienezza di relazioni con sé, con gli altri e con la terra. Questa salutare vocazione metterà in moto una doverosa e viva memoria delle tragiche vicende storiche di odio, violenza e inimicizia vissute dalla nostra Città, emblematicamente rappresentate dai monumenti della Risiera di San Sabba e dalla Foiba di Basovizza. Nello stesso tempo, saprà indicare un orizzonte che vada oltre in modo che il passato non continui a pesare sul presente e sul futuro della Città, chiamata invece, a tutti i livelli, ad una convinta prassi di riconciliazione in grado di aprire una feconda e lungimirante stagione di amicizia civile. In fin dei conti, la cappella di via Cavana vuole anche essere un invito rivolto alla Città affinché diventi, non solo pacificata e unita nel proprio intimo, ma anche pronta ad essere un giardino dove si coltiva anche per gli altri, con amore e convinzione, il fiore della riconciliazione. Dopo tante tragedie, Trieste ha il cuore e l’anima per essere la Città della Riconciliazione! Questa singolare prospettiva, di rilevante spessore culturale e politico, trova la sua fonte di inspirazione nell’immagine dell’Addolorata di fronte alla quale il Vescovo Santin implorò la grazia di far desistere i nazisti dal distruggere Trieste. La Madonna lo aiutò e Trieste si salvò. Ora questa sacra immagine della Madonna, con il nome prezioso di Madre della Riconciliazione, è collocata nella cappella di via Cavana, non solo per essere oggetto di pubblica e devota venerazione, ma anche per essere in qualche modo punto di irradiazione di un dinamico movimento dei cuori e delle intelligenze della nostra Città che avverta l’urgenza di riscattare il mistero d’iniquità che, con il suo cumulo di disumanità, ha colpito e devastato la nostra Città. Che cosa sono la Risiera di San Sabba e la Foiba di Basovizza se non monumenti che ci ricordano questo diabolico mistero d’iniquità? La cappella di via Cavana vuole essere soprattutto una bussola per orientare la Città lungo i cammini del mistero della pace e della riconciliazione. La Madre della Riconciliazione, alla quale sono affidate ora la Chiesa e la Città di Trieste, saprà tenerci lontani dalle ragioni insidiose dell’odio e dell’inimicizia, impegnandoci nell’affermazione di quelle sacrosante della riconciliazione, dell’amicizia e della pace.

Risiera di San Sabba: gli orrori nazisti

La cappella di via Cavana, nel custodire l’immagine dell’Addolorata e le memorie del Vescovo Santin, ci rimanda alla Risiera di San Sabba, un luogo simbolo di Trieste. Essa, dopo l’occupazione delle truppe tedesche di Trieste avvenuta il 9 settembre 1943 e la costituzione della Zona di operazioni del Litorale Adriatico, divenne un lager nazista per l’eliminazione fisica di oppositori politici, di partigiani italiani, sloveni e croati e campo di transito, nella maggior parte dei casi, per gli ebrei destinati poi ai campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau o ad altri campi. Le uccisioni avvenivano di sera, utilizzando vari metodi: gas di scarico di un veicolo, colpi alla nuca delle vittime con pesanti mazze, impiccagioni e fucilazioni. Dopo la cremazione, i resti venivano raccolti in grossi sacchi e trasferiti su una imbarcazione per essere dispersi in un punto isolato del golfo di Trieste. La Risiera rimase attiva durante l’occupazione tedesca. Il forno crematorio fu demolito dai nazisti in fuga nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945 nell’intento di cancellare le prove dei loro crimini. Sull’impronta della ciminiera si trova ora una simbolica Pietà, costituita da tre profilati metallici, che richiama la spirale di fumo che usciva dal camino. Essa è diventato Monumento Nazionale nel 1965 ed ha ricevuto la sua attuale sistemazione architettonica nel 1975. Al suo interno si può visitare il Civico Museo del Comune di Trieste con un’ampia documentazione degli orrori compiuti dai nazisti. Ogni anno si tengono due pubbliche celebrazioni commemorative: il 27 gennaio Giorno della Memoria e il 25 aprile Giorno della Liberazione. Soprattutto in occasione del Giorno della Memoria, risuona tra le mura silenziose del lager la preghiera del Rabbino della Sinagoga di Trieste che, con le parole antiche della tradizione orante ebraica, invoca la giustizia e la misericordia di Dio. È quello il momento in cui il mistero della pace, custodito e coltivato lungo i secoli dalla pietà ebraica, riscatta il mistero d’iniquità che si è consumato in quel luogo, aprendo le volontà all’impegno per il rispetto dell’uomo e i cuori alla speranza. Questo il testo della preghiera ebraica:

D-o pieno di misericordia
che abiti nelle regioni superiori, giudice delle vedove e padre degli orfani
procura un giusto riposo al riparo delle ali della Provvidenza,
assieme ai santi e ai puri, splendenti dello splendore del firmamento,
alle anime delle miriadi delle migliaia dei figli di Israele, uomini donne e bambini,
che furono uccisi, sgozzati, bruciati e sepolti vivi per la santificazione del Nome divino.
Tutti santi e puri e fra di essi ve ne erano di straordinaria levatura e giusti,
cedri del Libano e grandi nella Torà.
Il Padre della misericordia li ricoveri sotto le Sue ali in eterno,
affidi al mondo della vita la loro anima, nel giardino dell’Eden sia il loro riposo;
Il Signore è la loro eredità; si ricordi il loro sacrificio e valga per noi
e per tutto Israele la loro giustizia.
Terra! Non coprire il loro sangue e non vi sia luogo al loro grido.
Per loro merito tornino i dispersi di Israele al loro possesso
ed i martiri, per sempre, rimangano nella memoria
al cospetto di D-o. Riposino in pace, adagiati nei loro giacigli
e alla fine dei tempi risorgano alla vita, e diciamo: Amen


Questa commovente e coinvolgente preghiera ci porta ad una comprensione più adeguata delle dolorose vicissitudini vissute dalla comunità ebraica di Trieste. Da sempre profondamente radicata nel tessuto sociale, economico e culturale della Città, essa venne duramente colpita dalle leggi razziali proclamate nel settembre del 1938 in un discorso pronunciato da Benito Mussolini proprio in piazza Unità. Esse furono uno trauma lacerante: gli ebrei furono espulsi dalle scuole, dagli impieghi pubblici, dall’esercito, dall’insegnamento, dalla direzione e dalla proprietà di medie e grandi aziende, dall’esercizio delle professioni. Quel capitolo oscuro e vergognoso della storia di Trieste non fu accettato da tutti. Il Vescovo Santin, con coraggio profetico, intervenne ripetutamente in difesa della comunità ebraica con la quale aveva intessuto rapporti di rispetto e stima. Tra i tanti, segnalo questo discorso del Vescovo che, in qualche modo, preannunciò quelli che sarebbero stati gli sviluppi successivi del dialogo tra mondo cattolico e mondo ebraico:
“Nella comune sventura ogni mano offra un aiuto, non nasconda un pugnale. Questa legge di umanità io, Pastore della diocesi, la chiedo per i miei figli, la cui dura sorte non deve diventare più cruda e pesante, la chiedo in nome di Cristo, anche per i figli di quel Popolo, dal cui grembo, come uomo, [Gesù Cristo] uscì e in mezzo al quale visse e morì: sia sacra la vita di ognuno...”.
Questa decisa e chiara posizione si iscriveva dentro una più ampia visione tipica di Mons. Santin circa i diritti fondamentali dell’uomo che ricevettero il loro riconoscimento ed ebbero il loro più ampio e consistente sviluppo solo dopo la seconda guerra mondiale. Ebbene, il Vescovo, pur in mezzo a una tormenta storica drammatica, richiamò tutti al rispetto della suprema dignità della persona umana, individuata come il fondamentale criterio per costruire un’autentica e pacifica convivenza tra gli uomini. A questo riguardo scriveva:
“Ognuno ricordi che secondo i principi cristiani non è lecito privare uno della libertà, della proprietà e della vita, solo perché appartiene ad un’altra nazionalità, ad altra razza o ad altra idea politica, se persegue i suoi ideali con mezzi onesti e legali. Rispettiamo l’uomo, che Dio stesso rispetta; rispettiamo l’uomo per il quale il Figlio di Dio è morto; rispettiamo l’uomo capolavoro uscito dalle mani di Dio, destinato ad un’eternità di gloria; rispettiamo l’uomo e avremo rispettato noi stessi”.

La Foiba di Basovizza: gli orrori comunisti

La cappella di via Cavana, nel custodire l’immagine dell’Addolorata e le memorie del Vescovo Santin, ci rimanda anche alla Foiba di Basovizza, altro luogo simbolo di Trieste. Essa, originariamente un pozzo minerario, divenne nelle ultime e violentissime battute della seconda guerra mondiale a Trieste nel maggio del 1945, lo scenario degli orrori dei partigiani comunisti di Tito. Le loro vittime, durante i 40 giorni di occupazione jugoslava della città dal 1 maggio 1945, arrivavano a Basovizza su autocarri, con le mani legate e straziate dal filo di ferro, spesso avvinte fra loro con catene, per essere poi sospinte sull’orlo dell’abisso e fatte precipitare nel baratro. Furono quelli 40 giorni di inferno per Trieste, giorni di odio e violenza, giorni di risentimenti e incomprensioni. Su quel tragico e oscuro capitolo della storia di Trieste, si giocò in seguito una partita doppia e ambigua: da una parte ci fu chi si fece carico della giusta e doverosa denuncia degli orrori e, dall’altra, chi professò un’incomprensibile e vergognosa negazione; una partita – purtroppo non ancora terminata – giocata tra verità storica e ideologia. Grazie a Dio e a uomini e donne pazienti e tenaci, con la legge n. 92 del 30 marzo 2004 venne istituito, anche se tardivamente, il Giorno del Ricordo come solennità civile nazionale italiana da celebrarsi il 10 febbraio di ogni anno per conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nel 2007 venne inaugurato il nuovo assetto del Sacrario di Basovizza che costituisce il simbolo eloquente di tutti i drammi che hanno segnato le vicende del confine orientale al finire del secondo conflitto mondiale, comprese le tante altre foibe sparse in tutto il territorio della Venezia Giulia. A margine del Sacrario esiste uno spazio dedicato ad un Centro di Documentazione. Ogni anno, il 10 di febbraio, in quel luogo si celebra la Santa Messa che prevede la recita della preghiera per le Vittime delle foibe composta dal Vescovo Santin nel 1959. È un testo di una straordinaria potenza religiosa e di una vigorosa forza profetica che mette in guardia tutti, avvertendoli che quando le vicende umane deragliano dai binari, umanizzanti e salvifici, della regalità di Cristo, in genere l’esito è quello della distruzione, della violenza e della morte. Questo il testo della preghiera del Vescovo:
O Dio, Signore della vita e della morte, della luce e delle tenebre,
dalla profondità di questa terra e di questo nostro dolore noi gridiamo a Te.
Ascolta, o Signore, la nostra voce.
De profundis clamo ad Te, Domine; Domine, audi vocem meam”.
Oggi tutti i Morti attendono una preghiera, un gesto di pietà, un ricordo di affetto.
E anche noi siamo venuti qui per innalzare le nostre povere preghiere e deporre i nostri fiori,
ma anche apprendere l’insegnamento che sale dal sacrificio di questi Morti.
E ci rivolgiamo a Te, perché Tu hai raccolto l’ultimo loro grido, l’ultimo loro respiro.
Questo calvario, col vertice sprofondato nelle viscere della terra,
costituisce una grande cattedra, che indica nella giustizia e nell’amore
le vie della pace.
In trent’anni due guerre, come due bufere di fuoco,
sono passate attraverso queste colline carsiche;
hanno seminato la morte tra queste rocce e questi cespugli;
hanno riempito cimiteri e ospedali;
hanno anche scatenato qualche volta l’incontrollata violenza,
seminatrice di delitti e di odio.
Ebbene, Signore, Principe della Pace, concedi a noi la Tua pace,
una pace che sia riposo tranquillo per i Morti
e sia serenità di lavoro e di fede per i vivi.
Fa’ che gli uomini, spaventati dalle conseguenze terribili del loro odio
e attratti dalla soavità del Tuo Vangelo,
ritornino, come il figlio prodigo, nella Tua casa per sentirsi e amarsi tutti
come figli dello stesso Padre.
Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il Tuo Nome,
venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà.
Dona conforto alle spose, alle madri, alle sorelle, ai figli
di coloro che si trovano in tutte le foibe di questa nostra triste terra,
e a tutti noi che siamo vivi e sentiamo pesare ogni giorno sul cuore
la pena per questi Morti, profonda come le voragini che li accolgono.
Tu sei il Vivente, o Signore, e in Te essi vivono.
Che se ancora la loro purificazione non è perfetta, noi Ti offriamo, o Dio Santo e Giusto,
la nostra preghiera, la nostra angoscia, i nostri sacrifici,
perché giungano presto a gioire dello splendore del Tuo volto.
E a noi dona rassegnazione e fortezza, saggezza e bontà.
Tu ci hai detto: Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia,
beati i pacificatori perché saranno chiamati figli di Dio,
beati coloro che piangono perché saranno consolati,
ma anche beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati in Te, o Signore,
perché è sempre apparente e transeunte il trionfo dell’iniquità.
O Signore, a questi nostri Morti senza nome, ma da Te conosciuti e amati, dona la Tua pace.
Risplenda a loro la luce perpetua e brilli la Tua luce anche sulla nostra terra e nei nostri cuori.
E per il loro sacrificio fa che le speranze dei buoni fioriscano.
Domine, coram te est omne desiderium meum et gemitus meus te non latet. Amen!


Le foibe e l’esodo – segno indelebile nella storia della tragedia della Seconda Guerra Mondiale e delle sue conseguenze – furono crimini contro l’umanità. Il ricordo di quella tragedia va ora vissuto come un dovere umano e civile da tutti. È soprattutto ricordo delle vittime, sottratte ingiustamente e prematuramente alla vita; è ricordo quale segno di affettuosa vicinanza ai loro famigliari e amici; è ricordo come monito a non parteggiare mai per ideologie disumane e violente; è ricordo come atto morale che implica l’esercizio delle responsabilità che tutti hanno nel consegnare alle generazioni future un mondo in pace e segnato dai valori della verità, della giustizia, dell’amore e della libertà. La verità è a fondamento della pace, se ogni individuo con onestà prende coscienza, oltre che dei propri diritti, anche dei propri doveri verso gli altri. La giustizia edifica la pace, se ciascuno concretamente rispetta i diritti altrui e si sforza di adempiere pienamente i propri doveri verso gli altri. L’amore è fermento di pace, se si sentono i bisogni degli altri come propri e si condivide con gli altri ciò che si possiede, a cominciare dai valori dello spirito. La libertà infine alimenta la pace e la fa fruttificare se, nella scelta dei mezzi per raggiungerla, si segue la ragione e si assumono con coraggio le responsabilità inerenti alle proprie azioni. Quattro valori che divennero un programma di vita per tre cristiani vissuti in quegli anni torbidi e che ora sono venerati come beati dalla Chiesa: Lojze Grozde, sloveno, don Miroslav Bulešić, croato, don Francesco Bonifacio, italiano. Con la loro testimonianza di fede in Gesù Cristo e il loro martirio essi bonificarono gli orrori commessi in queste terre sotto la spinta di un’ideologia che prometteva il paradiso, ma partorì l’inferno. Con la loro testimonianza di fede e il loro martirio essi sono lì a indicare la strada umana e cristiana della verità, della giustizia, dell’amore e della libertà come l’unica degna di essere percorsa dall’uomo e capace di far camminare gli uomini uniti nel segno della riconciliazione e della fraternità. In questo contesto è doveroso ricordare il cammino che la società civile di Trieste e le Istituzioni comunali e regionali hanno convintamente percorso in ideale sintonia con i valori sopra ricordati. Ne fu prova il concerto Vie dell’amicizia del 13 luglio 2010, tenutosi in piazza dell’Unità d’Italia a Trieste e diretto dal maestro Riccardo Muti alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, del Presidente sloveno Danilo Türk e del Presidente croato Ivo Josipović. Non meno significativo fu l’incontro avvenuto il 13 luglio 2020 tra i due Presidenti delle Repubbliche italiana e slovena, Sergio Mattarella e Borut Pahor, i quali, mano nella mano, al Sacrario di Basovizza hanno reso omaggio alle vittime delle foibe e hanno partecipato poi alla restituzione alla Comunità slovena del Narodni Dom, in segno di un ritrovato spirito di amicizia civile e di riconciliazione tra la popolazione italiana e slovena, tanto necessario dopo gli anni bui della guerra e del post-guerra e di una rovinosa conflittualità.

Non ripetiamo gli errori!

Sono certo di non sbagliarmi se affermo che accanto alla Risiera di San Sabba e alla Foiba di Basovizza, che restano l’emblema di un mistero d’iniquità vissuto a Trieste, si debba porre adesso la cappella di via Cavana dove è stata posta l’Addolorata, Madre della riconciliazione, la Madonna del Vescovo Santin proprio per custodire e coltivare il mistero della pace e della riconciliazione. A suggellare questa impegnativa prospettiva ci pensa ancora una volta il Vescovo Santin che, il 17 ottobre 1943, inviò ai sacerdoti e ai fedeli una Lettera Pastorale dove troviamo questo monito, ancora attuale: Imparate da questo passato. Non ripetiamo gli errori. Questa la parte più significativa della Lettera:
O Dio, Signore della vita e della morte, della luce e delle tenebre,
dalla profondità di questa terra e di questo nostro dolore noi gridiamo a Te.
Ascolta, o Signore, la nostra voce.
Al venerabile Clero e al diletto popolo delle unite diocesi. La nostra diocesi è stata duramente colpita. Ho ancora negli occhi (né mai si cancellerà) la visione spaventosa delle rovine fumanti, dei cadaveri giacenti sulle strade e nei campi, dei fedeli angosciati e tremanti che mi narravano la loro triste vicenda: «La morte è salita per le nostre finestre, è penetrata nelle nostre case a sterminare i fanciulli dalle strade e la gioventù dalle piazze... e i cadaveri…, giaceranno a terra su tutta la faccia della contrada» (Ger 9,21-22). Quanta sofferenza e quanto pianto!... Oh, potesse questo terribile flagello, quest’uragano che tutto ha travolto ed ha portato tanto lutto nella nostra cara Istria farci sentire la voce di Dio: «Fermatevi sulla vostra strada, guardate, informatevi delle strade antiche, quale sia la via buona e incamminatevi per essa e troverete refrigerio alle anime vostre» (Ger 6,16). Figli dilettissimi, io vorrei trovarmi in ogni casa ove si piange, accanto a ogni cuore trafitto per dirvi affettuosamente: uniamo alla croce di Gesù la nostra terribile croce, perché sia fonte di grazia e di risurrezione per ciascuno di noi. Riprendiamo il cammino con nuova fiducia e sia illuminata di fede, di bontà, di amore la nostra nuova via. E a tutti, vicini e lontani, egualmente miei figli, io grido: Imparate da questo passato. Non ripetiamo gli errori. Riporto quanto già scrissi: un domani migliore, che dovrà essere assicurato alle popolazioni, arriverà tanto più facilmente quanto meno ci saremo staccati dalle vie del bene. Noi scongiuriamo tutti ad aprire gli occhi e mantenersi calmi, certi che la virtù arricchita dalla sofferenza è quella che finisce col trionfare sulla terra e assicura il cielo. È facile accendere il fuoco quando poi brucia la casa d’altri. Giustizia e libertà sì, ma sulle vie di Cristo. Sono le sole vie che non tradiscono»”.

Conclusione

Concludiamo questo nostro cammino dell’anima con la Madonna, che, nell’effige della cappella è con il volto dell’Addolorata, mentre, strada facendo, abbiamo imparato, soprattutto ammirando il ciclo pittorico del Maestro Oleg Supereco, a conoscere e amare come Madre della riconciliazione. È vero, la Madonna è Madre: a Natale è Madre di Cristo vero Dio e vero uomo; nel Venerdì Santo è Madre davanti alla croce del Figlio crocifisso e di tutti i crocifissi della terra; a Pasqua è madre spirituale dell’umanità redenta; a Pentecoste è Madre sostenendo la maternità della Chiesa come una partecipazione e manifestazione della propria maternità. Nel canto del suo Magnificat, proclama di essere tutta di Dio e, nello stesso tempo, di guardare al mondo con il cuore misericordioso di Dio (cf. Lc 1,51-53): come e con Maria anche noi possiamo spaziare su tutto l’orizzonte del mondo che ha Dio come inizio e come fine, che ha Cristo come centro, che ha il Regno come meta e traguardo, associati al suo canto dove Dio viene magnificato perché ha rovesciato i potenti dai troni, ha disperso i superbi con tutte le loro pretese, ha rimandato i ricchi a mani vuote, soprattutto perché ha rivelato la sua misericordia e il suo amore verso i poveri, gli affamati e gli umili che gridano a lui con cuore fiducioso. La cappella della Madre della riconciliazione è ora un luogo di incontro con Lei: per le comunità parrocchiali, per le famiglie, per le mamme e i papà, per i bambini, per i nonni e le nonne, per i ragazzi, i giovani e gli anziani, per il mondo della sofferenza, per il mondo del lavoro, per il mondo della scuola e della cultura, per tutta la nostra Trieste. Un luogo dove ci si incontra per custodire e coltivare i beni preziosi della riconciliazione e della pace, lievito prezioso per il pane fragrante e nutriente della civiltà dell’amore.